IL CORRIERE
DELL’IRPINIA
di
Gerardo Pescatore
Non si può ricostruire la storia dell’ultimo secolo di Avellino ignorando il Corriere dell’Irpinia, periodico settimanale che per 54 anni ha
dato voce alla provincia.
Nacque Il 7 gennaio 1923 nella tipografia di Via Trinità 37
per iniziativa di Armando e Riccardo Pergola, con
l’obiettivo di offrire alla provincia un servizio pubblico di informazione e di
idee. Il motto scelto, “Pro aris et focis”, dello storico latino Tito Livio, palesava chiaramente lo scopo dei due fratelli di
non fornire solo notizie di cronaca, ma di combattere “per gli altari degli dei e per il focolare domestico” cioè per la
difesa delle cose più sacre e care e degli interessi delle nostre popolazioni.
Nell’editoriale comparso nel
secondo numero il direttore Guido
Dorso precisava
l’indirizzo
del periodico, rivendicandone l’assoluta indipendenza: “Noi non siamo
organo di nessuno: né di quelli che, aderendo alla nostra richiesta, hanno
voluto concederci la loro collaborazione, né di quelli che, non rispondendo
alla nostra richiesta, ci hanno negato fiducia”. Un
percorso non facile quello dell’avvocato avellinese, insidiato dall’ingerenza e
dalle minacce sempre meno velate di un partito a vocazione dittatoriale come
quello fascista, che per boicottarlo ricorse a ogni
mezzo, fino a fondare nel giugno dello stesso anno un settimanale, “L’Irpinia
fascista”, allo scopo di soffocare la voce del Corriere, costretto ad
anticipare l’uscita dal sabato al giovedì.
Il primo
tentativo di intimidazione alla libertà di stampa fu
compiuto dopo soli quattro mesi di attività, il 4 maggio 1923, quando il fiduciario del partito fascista, dott. Alberto Carfì,
fece aggredire Dorso, colpevole di non aver pubblicato un comunicato
dell’Ufficio stampa della federazione fascista irpina, lesivo della
dignità professionale dei corrispondenti.
Ma non riuscì nel suo intento perché Dorso,
senza lasciarsi intimorire dalla violenza fascista, continuò per la strada che
aveva tracciato e, giovandosi anche del rapporto intellettuale e umano con
Piero Gobetti, pubblicò sulla rivista “Rivoluzione
Liberale” diciotto articoli raccolti poi in volume col titolo “La Rivoluzione
Meridionale. Con questi saggi, frutto di intelligenti
e penetranti riflessioni, cui
parteciparono Carlo Barbieri, Giuseppe Della Corte, Fausto Fiore, Luigi Salvatorelli, il foglio avellinese si inserì nell’ampio
dibattito sulla situazione politica italiana e, più in particolare, sulla
riforma del Mezzogiorno proponendo la questione meridionale all’attenzione
nazionale.
Nella lucida ed approfondita analisi dorsiana emergeva netta e inequivocabile la dura condanna
per uno Stato burocratico e accentratore, che favoriva gli interessi di industriali ed agrari del Nord, abbandonando a un destino
di miseria e di sottosviluppo il Sud.
Ma il 18 luglio 1925 giunsero le dimissioni
dell’illustre meridionalista, al quale subentrò nella direzione del giornale l’avvocato Alfonso Carpentieri,
giornalista arguto e battagliero, noto anche come lo pseudonimo
di don Ramiro, che inizialmente cercò di mettersi nella scia del coraggioso
predecessore nella lotta contro il settimanale fascista, avendo al suo fianco
preziosi collaboratori come Giuseppe Valagara, Nicola Valdimiro Testa, Antonio
d’Amato. Tuttavia, per poter mantenere una propria linea di indipendenza
e qualche margine di autonomia, il giornale dovette adattarsi ai tempi e all’ossequio al pubblico
potere, seguendo con convinzione l’opera del Partito Fascista, di cui la
direzione si professava “ una schietta e disinteressata fiancheggiatrice.
Questo atteggiamento ondivago, necessitato dal
soffocante controllo di un regime autoritario, consentì all’avv. Carpentieri di
mantenere l’incarico per un quinquennio fino al 4 ottobre 1930, quando,
dopo le pretestuose accuse rivoltegli
dal questore di
Avellino, dott. Molina, di
non essere iscritto
al fascio, fu rimosso e sostituito per un anno dal
tenente Vittore Innamorato, col quale il giornale entrava “al servizio appassionato, fedele, disinteressato
del fascismo”, e poi dal
1931 da Emilio Spadetta e da Luigi Carpentieri: quest’ultimo con l’incarico di direttore responsabile.
Da questo momento il Corriere perdeva completamente
la connotazione di giornale di opposizione, qual era
secondo l’intenzione e la rotta tracciata da Guido Dorso, per scivolare
nell’orbita fascista, sottoposto agli umori e alla rozza tracotanza del modesto
federale di turno.
Il 3
marzo 1934 dopo le dimissioni del dott. Carpentieri, fratello di Alfonso, gli editori furono obbligati dalle pressioni
sempre crescenti del segretario federale Gaetano Zampaglione
ad affidare la direzione ai fascisti, dott. Mario Forino e Canio Polestra. Il giornale divenne un
settimanale fascista della provincia di Avellino e
poi organo della Federazione dei Fasci
di Combattimento. Il foglio, che agli
esordi aveva ospitato un intenso dibattito ideologico e culturale, aperto alle
opinioni di tutti, lasciava il posto a un arido e
adulatorio bollettino che osannava acriticamente all’attività del duce e
del suo governo.
Il controllo del federale irpino fu così opprimente
da imporre la rimozione del direttore responsabile Canio Polestra,
reo di aver consentito la pubblicazione il 25 agosto 1934 di un articolo di
Giuseppe Valagara “I briganti all’Episcopio ed il banchetto di Monsignore”, in
cui si accennava all’ospitalità ricevuta il 22 aprile 1861 nella casa di
parenti del federale Zampaglione a S. Andrea di Conza e a Calitri dalla banda del
brigante Carmine Donatelli. Questa volta però i fratelli Pergola, stanchi
di subire imposizioni, reagirono con coraggio al sopruso, scegliendo un
direttore di loro gradimento e affidandosi a un
giornalista professionista, l’avvocato Giovanni Sagliocca
da Nusco, redattore del Mattino, che diresse il
Corriere dell’Irpinia per sei anni, proponendosi comunque di non allontanarsi
dalle direttive. Ma l’allineamento
all’ideologia e alla retorica del regime non valse a scongiurare
la decisione del federale Carlo Balestra di
mettere le mani sul giornale e ad affidarlo a un Carneade del
giornalismo, il dott. Luigi Fiocca, legionario di Spagna, promosso
esclusivamente per meriti politici (1940-41).
Era la completa fascistizzazione
della gloriosa testata irpina, passata in proprietà alla Federazione dei Fasci
di combattimento di Avellino sotto la direzione dei
federali Franco Bogazzi, squadrista della marcia su
Roma, e Francesco Grassi. Anche la redazione venne
spostata dalla storica Via Trinità alla Casa Littoria di Via Mancini, sede de
“L’Irpinia fascista”, che il 28 novembre 1942 sostituì il Corriere.
I gravissimi danni provocati dai bombardamenti
americani il 14 settembre 1943 non permisero alla tipografia Pergola di
riprendere immediatamente la pubblicazione del Corriere dell’Irpinia. Solo il
26 febbraio 1945 poté avvenire l’uscita, e il settimanale,
ridotto a due sole pagine, riannodò fra mille difficoltà il dialogo con
i lettori nella sede provvisoria di Via Partenio,
recuperando la sua linea indipendente e democratica.
Il primo
direttore del dopoguerra (1945-1946) fu ancora Alfonso Carpentieri, un uomo
simbolo, che successivamente, dopo la parentesi di
Agostino Colombo e di Franco Venditti (1946-1949), tenne per la terza volta la direzione del
giornale dal 1950 al 1959 col proposito di
“rifare
una libera tribuna aperta al ceto intellettuale irpino per l’esposizione
e la discussione di temi e problemi irpini” .
Grazie agli interventi di personaggi di formazione e
di orientamento culturale diversi come Fiorentino
Sullo, Giovanni Barra, Filippo de Jorio, Biagio Agnes,
Antonio Aurigemma, Vincenzo Cannaviello,
Fausto Grimaldi, Nicola Mancino si riaccese il
dibattito politico, incoraggiato da Angelo Scalpati,
giornalista di razza, prima condirettore e poi direttore responsabile per 19
anni. La morte improvvisa di Scalpati, avvenuta il 22
maggio 1969, non mutò la linea editoriale di democrazia e di indipendenza
tenuta dal settimanale sia durante la reggenza temporanea del dott. Hermann Carbone, già collaboratore del giornale, sia sotto la direzione di Gianni Festa
e di Fulvio Pergola, tenuta poi da
ottobre 1974 solo da quest’ultimo. Il giornale
continuò ad esercitare la sua funzione di attento
osservatore dei fatti provinciali, riportandone una testimonianza, né supinamente condiscendente né
pregiudizialmente ostile al potere politico, ma sempre fedele ed esauriente
nell’interesse di un’obiettiva informazione.
Il 23
novembre 1980 il Corriere dell’Irpinia cessò le pubblicazioni. Il sisma infatti non causò soltanto immani disastri, ma spense la
voce del più prestigioso e longevo giornale avellinese, palestra per più di
cinquanta anni di intellettuali e di giornalisti, riducendolo
definitivamente al silenzio.
Gerardo Pescatore