Le vicende del Teatro
Comunale
di GERARDO PESCATORE
Durante il cosiddetto "decennio
francese" (1806 – 1815) sorse nella mente di Giacomo Mazas, il primo
Intendente del Principato Ultra, lĠidea di dotare Avellino di un teatro
municipale, per conferirle l'importanza e il prestigio che si addiceva ad un
capoluogo di provincia e richiamare gente dai paesi limitrofi. Ne aveva
individuata lĠarea nel monastero di S. Giovanni di Dio, incamerato dal Comune dopo la soppressione degli ordini religiosi nel
1807, di fronte al palazzo dellĠIntendenza nel Largo dei Tribunali (l'odierna
piazza Libert), che si accingeva a diventare il vero cuore della citt, il suo
centro culturale e commerciale.
Su
progetto dell'architetto fiorentino
Domenico Chelli, che aveva gi realizzato il teatro di Salerno, la
costruzione dell'edificio, affidata all'impresa napoletana di Michele Correale, procedette
speditamente per lĠentusiasmo e il prodigarsi di Mazas, poi difficolt
economiche (cui sopper il Municipio con cospicui oneri finanziari), intoppi
tecnici (come la sostituzione del progetto di Chelli, nominato dai Borbone decoratore e scenografo del
Teatro S. Carlo) e la morte dellĠintendente nel 1814 ne rinviarono
lĠultimazione al 1816.
DallĠingresso, che
si apriva sulla via consolare, percorso un ampio foyer molto elegante,
arredato con divani e poltrone di velluto cremisi e ornato da enormi
specchiere alle pareti, si
accedeva alla sala, costituita da una platea di 132 posti a sedere nella classica forma a ferro di cavallo,
decorata con cornici ed ornamenti di stucchi ed oro, e ai palchi disposti su
tre ordini, finemente intagliati.
La
sera del 31 maggio 1817, auspice l'intendente Costantino De Filippis, avvenne
la solenne cerimonia di inaugurazione del teatro, denominato Ferdinandiano in
onore del re di Napoli Ferdinando I di Borbone, ritornato sul trono dopo il Congresso
di Vienna. Le massime autorit cittadine e il pubblico poterono ammirare il
sipario e gli stupendi affreschi al soffitto del Chelli, che raffiguravano
Apollo nel tempio di Parnaso
Fu scoperta, a ricordo dellĠavvenimento, una targa marmorea apposta
nellĠatrio, con la seguente iscrizione di Giovannantonio
Cassitto
ÒQUO
SPLENDOR URBIS ABELLINENSIS / AMPLIUS INCLARESCAT / THEATRUM PECUNIA PUBL. INCHOATUM / CONSTANTINUS DE PHILIPPIS / PRAEF. PROVINC.
HIRPINIAE SAMNITIUM / ABSOLVIT DEDICAVITQUE PRID. KAL. IUN. MDCCCXVII /
AC DE NOMINE FERDINANDI I / REGNI UTR. SICIL. REGIS P.F.A./ FERDINANDIANUM
NUNCUPATUM / UNO HOC ORNATU / AETERNITATI MANDAVIT"
Questa la traduzione ("Affinch lo splendore della citt di
Avellino rifulga maggiormente,
Costantino De Filippis, Intendente della provincia irpina dei Sanniti, port a
termine e inaugur il 31 maggio 1817 il teatro iniziato con denaro pubblico e dal
nome di Ferdinando, re delle Due Sicilie P.F.A., denominato Ferdinandiano
affid con questo solo ornamento all'eternit").
La monarchia borbonica lo utilizz per festeggiare le ricorrenze dei
membri della sua famiglia. Nascite, onomastici, compleanni non passarono mai
sotto silenzio, ma lĠapice dello splendore si raggiunse con una grandiosa festa
da ballo il 20 gennaio del 1836 per la nascita di S.A.R. il duca di Calabria,
Francesco Maria Leopoldo, principe ereditario delle Due Sicilie, preceduta da
tre giorni di feste e di opere di beneficenza per i poveri.
Ne fece una cronaca eccessivamente enfatica Giuseppe Zigarelli in un "Ragguaglio".
Due obelischi, sormontati da gigli
dĠoro furono posti ai lati dellĠingresso del teatro, mentre la sala, destinata
ad accogliere i reali, ornata da festoni
di mirto, misti a fiori multicolori, e da serti di alloro e di gigli, era
illuminata a giorno da numerosi lampadari. ÒUn magico spettacolo si offriva
agli occhi di ognuno, che raddoppiando la felicit del momento rendea quella
notte sempre pi gaia e brillanteÓ.
Ben
presto il teatro riusc ad acquistare notoriet tanto che perfino famose
compagnie di prosa non mancarono di inserirlo nei loro giri: si esibirono sul
suo palcoscenico con un repertorio di tutto rispetto le sorelle Gramatica, Francesco
Gervasi Benincasa con un giovanissimo Ruggero Ruggeri e gli interpreti del
teatro napoletano, Eduardo
Scarpetta col figlio Vincenzo e Antonio Petito. Furono rappresentate opere di
grande interesse popolare come La Signora delle camelie, Il Padrone delle
ferriere, Cavalleria rusticana, i drammi di DĠAnnunzio e di Di Giacomo, riscuotendo
grande successo e il maggior gradimento. Anche il cartellone della lirica fu di
prim'ordine comprendendo ogni anno i capolavori di Verdi e le opere pi famose degli altri grandi compositori del
melodramma italiano, rappresentati sempre con successo da affermati artisti
lirici.
Continui
lavori di restauro furono fatti eseguire dalla civica Amministrazione con decorazioni di valenti pittori come Mariano
Uva e il figlio Cesare. Una radicale ristrutturazione si rese necessaria nel 1858
dopo una lunga inattivit, che aveva causato danni ingenti, e negli anni successivi con interventi
alla facciata e al vestibolo e nel 1885 al sipario che rappresent allegoricamente il Genio della
Provincia in atto di additare la nostra citt ai circondari di Ariano e di S.
Angelo eseguito dal Palizzi.
Tre
anni dopo Avellino fu una delle prime citt italiane ad essere dotata di
impianto di luce elettrica e il Comunale vide l'installazione della ribalta
elettrica, una novit assoluta degna delle migliori capitali europee,
inaugurata dal sindaco Trevisani. Il 5 febbraio 1888 fu una data storica per la
citt e il teatro, che dopo
lĠunit dĠItalia era stato denominato Comunale, quando la sala fu illuminata a
giorno da 180 lampade.
Fu questo il periodo pi elegante e brillante, coincidente con la
"belle poque", ma lĠultimo decennio del XIX secolo, con la novit e
la passione per il cinema, segn la decadenza per il teatro Comunale, che soffr la concorrenza del Politeama
Nazionale, un teatro aperto a piazza Garibaldi, molto popolare e frequentato da
un pubblico rozzo, e del teatro Giordano.
Dal 1915 cess lĠattivit
per la fatiscenza delle strutture, che richiedevano costose
ristrutturazioni strutturali. Nel luglio del 1919 il tetto del Comunale,
abbandonato a se stesso, sprofond sul pavimento della sala, distruggendo anche
gran parte degli arredi e delle suppellettili che erano stati salvati o erano
scampati alle razzie e ai furti.
Per la difficolt di reperire i fondi per la ricostruzione, che determin
tra polemiche ed accuse la crisi e le dimissioni del consiglio comunale, il
commissario regio, generale Giulio Corradi, sostenuto dalla federazione
fascista, deliber con una insipiente decisione, criticata da Alfonso Rubilli e Alfonso Carpentieri (il famoso Don Ramiro), l'alienazione a privati e nel 1925 la demolizione
per dare spazio, sulla sua area, al palazzo Sarchiola, dove ancora oggi collocata
la lapide.