LA  SINDONE  A  MONTEVERGINE

 

di

 

GERARDO PESCATORE

   

 

 

 

     Un legame quasi indissolubile unisce  il santuario di Montevergine e la Sacra Sindone (il sottile lenzuolo rettangolare in lino spigato color avorio, che avvolse il corpo di Cristo), rinsaldato da un evento straordinario, che segnò uno dei momenti più importanti per la storia dell’abbazia, scelta come luogo sicuro per mettere in salvo la reliquia più importante della cristianità.

     Certamente non fu casuale la scelta da parte di casa Savoia della comunità benedettina insediata sul monte Partenio, non soltanto per i requisiti di sicurezza che offriva Montevergine, ma soprattutto per gli stretti rapporti con il monastero, che hanno preso origine dalla devozione che l’antica e nobile casata ha sempre nutrito per la Madonna Nera, e iniziarono nella primavera del 1433 quando Margherita, figlia del duca Amedeo di Savoia e moglie del re Luigi III d’Angiò, donò al convento una tavola votiva per essere scampata a un naufragio.

     Scoppiato nel settembre del 1939 il II conflitto mondiale ed essendo più che probabile l’entrata in guerra dell’Italia (la condizione di “non belligeranza” scelta da Mussolini non era una garanzia assoluta di non partecipazione), il re Vittorio Emanuele III pensò di mettere al sicuro il sacro lenzuolo che avvolse il corpo di Cristo dopo la deposizione dalla Croce.

     La più straordinaria icona cristiana, fino  allora custodita nella cappella del Palazzo reale di Torino, fu fatta trasportare alla cappella “Guido Reni” del Quirinale, dove risiedevano i Savoia, luogo che non fu ritenuto sicuro tanto che fu chiesto a monsignor Giovanni Battista Montini, sostituto della segreteria di Stato -il futuro papa Paolo VI- di accoglierlo in Vaticano. Ma, con l’entrata in guerra dell’Italia, anche la Santa Sede fu ritenuta poco adatta, mentre il luogo che offriva le maggiori garanzie di sicurezza e incolumità dalle incursioni aeree e da altri pericoli della guerra era certamente il santuario di Montevergine.

 

     Con telegramma del 7 settembre l’abate Giuseppe Ramiro Marcone fu convocato telegraficamente alla segreteria di Stato del Vaticano, dal cardinale Luigi Maglione, il quale gli comunicò che la scelta per il deposito temporaneo della Sindone era caduta sul cenobio benedettino irpino, dove il 25 settembre 1939, circondata dal più geloso segreto, la preziosa reliquia fu trasferita in automobile, senza nessuna apparente scorta militare,.  Nel verbale di consegna firmato dall’abate Marcone, dal canonico Paolo Brusa, custode della Sacra Sindone, dal priore di Montevergine, Bernardo Rabasca e dal cappellano del Re, Giuseppe Gariglio, furono contenute tutte le disposizioni: la Sindone, arrotolata, veniva deposta in una cassetta d’argento rivestita di broccato. Essa doveva essere collocata  in una cassa di legno più grande, avvolta da un involucro di tela chiuso con sigilli di piombo e recante la scritta: Reliquiarii, che sarebbe stata nascosta nella clausura del monastero sotto l’altare ligneo del Coretto da notte, chiuso a chiave da un robusto paliotto di legno.

      In un verbale aggiuntivo si stabilì anche che, nell’eventualità di bombardamenti aerei su Avellino, (come tragicamente si verificherà il 14 settembre 1943) per maggiore precauzione l’abate di Montevergine curerebbe di trasportarla in un luogo ancora più sicuro: una galleria artificiale scavata nella viva roccia a cento metri di distanza dal Coretto, alla quale si accedeva attraverso il corridoio del monastero, senza bisogno di uscire all’aperto. Tutto si era svolto, naturalmente, in grandissimo segreto: oltre l'Abate e  don Rabasca, ne erano stati  informati solo tre autorevoli esponenti del cenobio (il Vicario, don Anselmo Tranfaglia, il superiore invernale  e il padre sacrista.

     Per più di sette anni il sacro sudario fu custodito nel più assoluto segreto sotto l’altare della cappella dove i monaci benedettini recitavano il Vespro.  Nel 1946, terminata la guerra, prima di partire per l’esilio dopo il referendum istituzionale che sanciva la scelta repubblicana, il re Umberto II il 10 giugno con una lettera incaricava l’arcivescovo di Torino Maurilio Fossati di ottenere la restituzione della reliquia alla città di Torino. Lo stesso cardinale, come raccontò in una lettera scritta due giorni dopo, giunse a Montevergine il 28 ottobre e, dopo aver controllato l’integrità dei sigilli, concluse con una suggestiva cerimonia la permanenza in Irpinia del prezioso telo. Una conferenza illustrativa sugli studi sulla Sindone, tenuta dal prof. Luigi Gedda, precedette la solenne ostensione alla comunità monastica, vivamente emozionata da un evento così straordinario.

 

 

     Alle sette del 29 ottobre il prelato riprese il viaggio riportando per sempre a Torino il lenzuolo con l’effigie del corpo di Cristo. I re Savoia erano già partiti per l’esilio.

Gerardo Pescatore

 

 

 

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