Storia d’amore e tradimento.
di Benny Limone
Il grassone scese dalla casa dell’amante di buon ora e si avviò verso l’ufficio. Si allacciò la cerniera dei pantaloni, si asciugò il sudore dalla fronte ed accese una sigaretta, l‘ennesima, eppure glielo dicevano tutti che quel suo vizio l‘avrebbe portato alla rovina. L’aria afosa di fine maggio ne rendeva più difficoltosi i movimenti e rimpianse il clima elettronico del suo Ferrari, mentre si avviava a piedi verso il posto di comando. Il grassone era uno dei capi del villaggio.
Dopo un po’ squillò il cellulare e quando vide sul display il nome di sua moglie iniziò ad ansimare più forte. Lei nemmeno gli chiese dove avesse dormito né si preoccupò di augurargli il buongiorno ma iniziò subito ad urlare “Entro domani sera quei quattro straccioni devono essere fuori dalle scatole” e poi chiuse.
Non era un buon periodo per il grassone, quei vecchi rimbambiti che si erano accampati nel centro del paese, arroccati intorno al loro monumento fatiscente, non volevano saperne di andarsene ed avevano pure fatto comunella con un bel po’ di artisti e saltimbanchi, insieme ai quali avevano messo su una manifestazione per il giorno dopo. Ognuno avrebbe dato il proprio contributo in versi, in prosa, in musica o immagini per protestare contro il degrado del luogo.
Lui non era il tipo da preoccuparsi per simili pagliacciate ed anzi era sicuro che la situazione prima o poi l’avrebbe risolta ma il vero problema era la moglie. Da mesi aveva programmato un party in terrazza, con le amiche, per quella stessa domenica di fine maggio e, poiché il loro balcone sporgeva proprio sulla piazza del monumento, la festa degli artisti, oltre ad esserle sembrata una provocazione voluta, le avrebbe di certo rovinato lo scenario.
Per questo aveva deciso di dargli l’ultimatum, passi per le amanti, passi pure per il fatto che era ingrassato e che in casa buttava la cenere a terra ma quella questione andava risolta subito: i suoi incontri in terrazza attiravano l’elite di tutta la regione e lei non poteva certo rovinarsi la reputazione.
Per di più, da quando aveva letto su un vecchio libro di storia che gli antichi condottieri spagnoli o, in tempi più recenti i bianchi d’America, avevano risolto casi molto più gravi di indigeni legati ai loro totem, sterminandoli in pochi giorni o relegandoli in spazi protetti, aveva preso ad accusarlo di incapacità ed inettitudine.
La vecchia non capiva che i tempi erano cambiati, c’erano quegli impiccioni dei giornalisti sempre pronti a ficcare il naso dovunque e c’era pure internet, per cui un eccidio di massa, per quanto le vittime fossero un’accozzaglia di vecchi nostalgici e di giullari da strapazzo, non sarebbe di certo passato inosservato.
Eppure lui di tentativi ne aveva fatti: prima aveva offerto loro delle donne, disposte a fare sesso se avessero accettato di trasferirsi in un quartiere meno in vista ma l’idea si era rivelata un flop perché i vecchi avevano raggiunto da tempo la pace dei sensi e gli artisti, si sa, sono tutti tossici e gay, figuriamoci se pensano a scopare.
Poi in un momento di esasperazione aveva pure mandato i bulldozer per radere al suolo quello scempio ma uno di quei pazzi si era messo in mezzo e continuava a pararsi davanti al cingolato seguendo i cambi di direzione con cui il conducente cercava disperatamente di evitarlo. A quello era venuto pure in mente di tirarlo sotto ma poi si era ricordato che, una storia del genere, successa tempo prima da qualche parte in Oriente, era finita sulle tv di mezzo mondo ed aveva preferito evitare lo scandalo, per cui anche quest’altro tentativo era andato a vuoto.
L’alternativa sarebbe stata di sistemarlo quel monumento, restituirlo all’antico splendore dei tempi in cui rappresentava la città ma pure questa via non era praticabile, il tesoriere era stato drastico, c’erano strade da costruire, gallerie da scavare, campagne da asfaltare e soldi per stronzate del genere proprio non ne restavano.
Intanto le ore passavano e lui doveva trovare una soluzione, un casino con la vecchia era l’ultima cosa che desiderava, gli avrebbe compromesso troppi equilibri e poi diamine, che figura ci avrebbe fatto pure lui con i suoi colleghi, che tenevano i loro paesi come bomboniere e già lo consideravano la cenerentola della regione?
Ad un certo punto ebbe un’idea geniale: quella vergogna non si poteva eliminare in così poco tempo, però si poteva coprire, avrebbe ordinato un pannello di cartone su cui far apporre una gigantografia del totem, così come appariva anni addietro, in modo da salvare il panorama. Che protestassero pure quei quattro deficienti, tanto nessuno se ne sarebbe accorto.
La sera dopo era tutto pronto, il balcone del grassone e della vecchia era imbandito con ogni ben di Dio e le migliori dame del paese, accompagnate dai loro cavalieri, brindavano allegramente con un piacevole sottofondo di musica classica. Di fronte a loro la gigantografia, complice la luce incerta del tramonto, copriva alla perfezione il monumento fatiscente ed i suoi patetici occupanti che, nell’indifferenza di tutti, leggevano i loro racconti.
Il grassone non stava nei panni per la gioia, aveva risolto tutto nel modo più brillante: la festa era salva, la moglie contenta e perfino il tesoriere non aveva avuto da ridire, visto che quella foto era costata davvero poco.
Così, in un momento di entusiasmo, trovò il modo di sgattaiolare giù per telefonare all’amante ed avvertirla che non avrebbero più avuto problemi.
Scese di casa di nascosto e si mise in un angolo appartato, nella penombra, a due passi dal monumento, prese il telefonino, fece il numero e si accese l’ennesima sigaretta buttando il fiammifero alle proprie spalle. Fu un attimo ed il pannello di cartone prese fuoco, gli invitati attratti dal bagliore si precipitarono a guardare ed il grassone rimase lì, illuminato a giorno, col telefonino vicino all’orecchio e la sigaretta ancora in mano.
Sullo sfondo, nello squarcio provocato dalle fiamme, l’antico monumento aveva un non so che di solenne.