Naturalmente la mia riflessione a margine della settimana di musica ad
Avellino, culminata nella Notte Bianca, non voleva snobbare chi a
quella festa s'è divertito, né giudicare i gusti altrui. In quanto a
sentirmi tacciare d'intellettual-aristocratica per avere una diversa
concezione della musica e della politica culturale di una città, mi
tengo l'intellettuale (che non mi pare sia ancora una tara genetica) e
rigetto l'aristocratica, vista la mia formazione, la mia militanza di
una vita nella sinistra e i miei atteggiamenti credo del tutto
democratici. Anche sentirmi accusare di tristizia e pallosità solo
perché mi disturba quest'industria del divertimento e della risata a
tutti i costi mi sembra un'esagerazione: andiamo! io adoro ridere e
chi mi conosce lo sa. L'ironia e il riso non contratano
necessariamente con la ricerca della serietà e del rigore nella cosa
pubblica (ma prima ancora nel privato, of course).
Infine constato che a quelle mie riflessioni di getto si sono
affiancate, senza nessuna premeditazione, molte analoghe insofferenze
per quest'avvenimento, ultimo un articolo uscito in prima pagina nelle
pagine campane di Repubblica mercoledì 26 settembre, che paiono la
fotocopia del mio. Ne riproduco qualche rigo significativo:

"Che la Notte Bianca sia stata soppressa è un bene. [...] La funzione dei grandi eventi è generare

sui territori ove hanno luogo una serie di ricadute stabili in termini di flussi economici, turistici, infrastrutture e identità culturale. [...]

le finalità della Notte Bianca napoletana erano invece misteriose.

A chi si rivolgeva? A chi voleva parlare? Cosa voleva dire? Che ricadute aveva in forma permanente sul territorio? [...]

Ci piacerebbe pensare che la soppressione della Notte Bianca sia l'inizio di una vera politica culturale".

Carla Perugini

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