Don Luigi Baratta, un  asceta dimenticato

 

di Armando Montefusco

 

Un sant'uomo, ingiustamente dimenticato dai suoi concittadini, sia per la "devozione" che nutriva verso la "sua" Avellino, sia per il suo "apostolato" , svolto fra la povera gente del borgo di S.Antonio Abate con cui volle condividere , per sua scelta, le miserie e le privazioni fino alla mortificazione del corpo. Don Luigi era inoltre una persona di grande cultura ,un provetto “latinista” che  spesso offriva il proprio aiuto agli studenti , chiedendo in cambio la loro partecipazione alle funzioni religiose officiate  presso la chiesa delle Oblate . Riproponiamo alcuni tratti di un breve profilo a lui dedicato dal Prof. Vincenzo Cannaviello , nel libro "Avellino e L'Irpinia nella tragedia del 1943":

 

<< Una veste nera logora e stinta, un petaso (cappello a falde larghe) che sembrava un uccello ferito, con le ali ricadenti su di un profilo aguzzo di asceta, gli occhi semichiusi : questa è la sagoma del popolarissimo don Luigi Baratta. Che cosa lo attraeva e tratteneva per le vie di Avellino mentre scrosciavano le bombe? La Carità. Con una fiala d'acqua a tracolla ed una fialetta di cordiali, recitando le preghiere dell'assoluzione a capo di ogni strada , egli saltava sulle macerie con l'agilità d'un gatto per ascoltare se gli giungesse qualche lamento di sotto le pietre. E nel caso di un indizio , scavando come poteva , da solo, giungeva al sepolto vivo per trascinarlo a salvezza. (...) Una volta una pattuglia di tedeschi lo scorse ritto su di un monticello di rovine e gli fu contro; uno di essa gli chiese se avesse armi :<< Sì >>, e di sotto alla veste trasse un Crocifisso che alzò dicendo:<<Questa è la mia arma>>.

La pattuglia a quel gesto rimase attonita , e si dileguò. Un'altra volta fu domandato a don Luigi perché venisse ogni giorno fra quello scempio: non poteva , perché le macerie non nascondevano ormai più alcun vivente, pregare da lontano ? Rispose:<< Non posso allontanarmi ; devo assistere la mia città come si assiste un moribondo , come si veglia un morto>>. (...) Una volta fu invitato a predicare nella chiesa di S. Rocco di Cesinali. Egli che aveva la parola facile , salito sul pergamo stette in silenzio qualche minuto, poi volse in giro gli occhi sulla folla e scoppiò in forti singhiozzi . Gridò solo :"Povera la mia Avellino! " e dové scendere dal pergamo: l'angoscia gli impedì la parola >>.

Don Luigi Baratta era nato ad Avellino il 28 marzo del 1883, da Francesco Saverio e Modesta Pirone. Morì ad Avellino, in circostanze tragiche e brutali, il 10 aprile del 1944, all’età di 61 anni.

Nella pasqua del 1944, ignoti  “alleati” , che frequentavano i bassi del borgo alla ricerca di "piatti locali" e "dolce compagnia", in preda ai fumi dell’alcool lo pestarono selvaggiamente. Don Luigi , senza chiedere aiuto, si ritirò nella sua stamberga , poco lontana dalla chiesa di S. Gennaro . Fu ritrovato agonizzante, rannicchiato  sui tavolacci su cui era solito dormire. Venne trasportato in ospedale , ma di lì a poco morì. Nella sua "casa" vennero rinvenuti titoli di credito  mai riscossi, capi di biancheria mai usati.

Perché non dedicare una strada a questo singolare personaggio? Magari: “Via D. Luigi Baratta già Rampa Macello”. Renderemmo un poco di giustizia a questo sant’uomo dimenticato.   

 

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