I giardinetti di Piazza Kennedy
di Fiore Candelmo
Eravamo ragazzini. Negli anni a cavallo tra i '60 e i '70, il territorio era nostro.
I giardinetti, con gli alberi ancora non alti come oggi (quelli che sono
rimasti) e che a stento arrivavano al I piano, erano ritagliati tra una serie di
viottoli asfaltati e, soprattutto, in pendenza, perchè la campagna, dove il
quartiere si era appena formato in quegli anni ruggenti per l'Italia, scendeva
dolcemente, digradando verso quella che allora era la Circumvallazione di
Avellino, una tangenziale antelitteram, fino al Jolly Hotel, uno dei pochi segni
della modernità in città.
E quella pendenza, per noi ragazzini imberbi ma dotati di biciclette, era un
invito a nozze a sfidare la velocità e il rischio.
Attraversare la strada, Via De Renzi o qualche altra, non era un problema: auto
ce n'erano poche. Nessuno che potesse veramente metterti in pericolo. E
raggiungere i giardinetti un gioco da ragazzi.
La partenza era naturalmente fissata sulla sommità del parco, laddove la forma
vagamente triangolare del giardino terminava in una specie di vertice. Di qui si
apriva, dopo un pò, una sorta di piazzetta, circondata da alcune panchine in
pietra liscia, che ospitavano rari pensionati e qualche volta il ben noto
Marino, un uomo di mezza età, obeso ed alcolista, figura bonaria,
indimenticabile e conosciutissima, la cui genealogia era oscura come il suo
futuro, intento per lo più a dormire o russare, dopo probabilmente qualche
pantagruelico pranzo scroccato da qualche parte.
Al lato di base della piazzetta si aprivano più stradine, della larghezza
massima di un metro e mezzo, ognuna, come le altre, segnata da una massicciata
di pietre vive, bianchissime, in calcare, di forme approssimativamente cubiche,
delle dimensioni di circa 30 cm di lato, in parte annegate nella terra.
Naturalmente la sfida era a chi frenava all'ultimo momento e a chi riusciva a
curvare in una delle traverse laterali, che si aprivano ai due lati ad angolo
retto, senza ruzzolare per terra o addirittura senza frenare ! Manovra
particolarmente difficile, che veniva effettuata inclinando al massimo la
bicicletta fino a sfiorare le pietre e aiutandosi con la gamba interna la cui
calzatura veniva sfruttata per correggere la traiettoria consumando la suola in
una ardita frenata.
Naturalmente chi era capace di raggiungere lo scopo era anche oggetto di grande
invidia: salvo a rimetterci, con una rumorosa esplosione, la gomma posteriore
della bicicletta in una frenata-derapata dalla quale raramente il copertone
poteva uscire indenne, al seguito della quale la risata era generale!
E altrettanto naturalmente gli incidenti non erano rari. Oltre alle tradizionali
sbucciature delle ginocchia, dolorosissime ma tutto sommato innocue, per le
quali un filone a scuola non era per niente concesso, talora le capocciate sulle
pietre suddette erano particolarmente violente, ma ben raramente si ricorreva al
Pronto Soccorso: non erano tempi di TAC o radiografie per ogni mal di testa, e
la conseguenza era solo una bella fasciatura e un pò di ghiaccio. Qualche
fortunato era dotato a casa del famoso Balsamo Sifcaina, che con i suoi
misteriosi ingredienti, dall'odore forte e penetrante, risolveva ogni
ammaccatura.
Poco fuori i giardinetti c'era l'impianto di carburanti da poco smantellato. Di
lato a questo un parcheggio, naturalmente in pendenza anch'esso, era pressocchè
sempre vuoto di auto, anche durante la settimana, e ospitava straordinarie
partite a calcio, nelle quali, specie la domenica, partecipavano un pò tutti i
ragazzi del quartiere. Due pietre rappresentavano la porta e il problema
principale non era certo la pendenza del campo quanto recuperare il pallone dopo
un tiro particolarmente forte, indipendentemente se passato tra le pietre o ben
lontano da esse.
Sarebbe troppo facile dire che oggi quegli spazi e quei giochi non ci sono più.
Mia madre non si preoccupava più di tanto di sapere dov'ero, che più di la non
potevo andare, e tutto sommato molti pericoli non c'erano. Oggi quale madre
lascerebbe il figlio giocare nella strada con tranquillità, se non con il
cordone ombelicale di un telefonino sempre acceso ?
La crescita di questa città è avvenuta tenendo troppo conto di alcuni interessi
e non di quelli della collettività in senso lato, laddove la qualità della vita
si misura sulla quantità di spazi per le attività alternative all'abitazione e
alla circolazione. Spazi che sono carenti oggi in quei quartieri anche di più
recente costruzione, e che per gli uomini del domani, ragazzini oggi, non sanno
proporre che corse quotidiane alla palestra, alla piscina, al basket ....
Fiore Candelmo