Ricordo di Giuseppe De Mitri, il fisico che amava la pittura

 

 

Ad un anno di distanza dalla scomparsa di Peppino De Mitri (Alessano, 2 gennaio 1930 - Avellino, 15 settembre 2011), docente di matematica e fisica nei licei, è ancora forte – in chi, come me, ha avuto la fortuna di conoscerlo e di essergli amico – la commozione nel ricordo non solo dell’uomo, ma anche del docente e dell’educatore che aveva fatto del suo lavoro, l’insegnamento, uno strumento di crescita e di formazione per centinaia e centinaia di giovani allievi.

Un magistero, quello del professor Giuseppe De Mitri, che affondava le sue radici nella ricerca culturale e nell’impegno quotidiano nelle aule scolastiche: un lavoro per mezzo del quale l’uomo giunge a scoprire – per dirla con Sant’Agostino – quel maestro interiore che solo può garantire la funzione dell’insegnamento, del linguaggio e della comunicazione, e consentire in tal modo l’acquisizione di  nuove conoscenze.

Peppino De Mitri è stato un esempio per molti: come uomo, come docente, come intellettuale. Schivo e riservato ma sempre disponibile con tutti, allievi e colleghi, ci piace ricordarlo – anche dal sito della sua “ultima” scuola, l’Imbriani, in cui ha insegnato per più di un lustro e dove, ricoprendo più volte la carica di collaboratore tra la stima generale, ha portato a termine la carriera dopo aver prestato la sua opera nei licei e negli istituti magistrali di mezza Italia (c’è un suo disegno, lui che si dilettava di pittura, della facciata dell’istituto sulla copertina dell’annuario curato, preside Giuseppe d’Errico, da Tullio Landri con la collaborazione di chi scrive) – per il suo portamento distinto e signorile, con negli occhi una luce piena, rasserenatrice, ereditata evidentemente da quella solare terra natia che è la Puglia, aperto al prossimo con quella disponibilità che è figlia della nobiltà d’animo e dell’eleganza intellettuale.

La sua lezione, in un’epoca ed in una realtà sociale che lasciano così poco spazio alla riflessione e in cui la famosa “durata interiore” di Bergson e di Proust viene continuamente impoverita dal carattere precario dei contatti umani e dalla superficialità delle relazioni interpersonali, costituisce ancora oggi una sfida ed un metodo: una sfida che aiuti a comprendere meglio le innumerevoli problematiche nel particolare momento storico, economico e sociale che stiamo vivendo; un metodo che può ancora risultare utile, soprattutto alle giovani generazioni, per la valorizzazione della ricerca cognitiva attraverso l’indagine personale.

L’eredità di grande umanità lasciata da Peppino De Mitri è oggi patrimonio non solo della moglie, signora Nada, dei figli, Salvatore e Maria, dei nipoti, ma anche di quanti l’hanno conosciuto e ne hanno condiviso valori e ideali di vita. La scuola irpina, con la sua scomparsa, ha perso una delle figure più rappresentative ed apprezzate degli ultimi decenni.

 

                                                                                     Carlo Silvestri

 

 

 

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