Vorrei raccontare due storie che riguardano la
mia famiglia. La prima, che sa dell'incredibile, ed è
certamente unica, ha come protagonista mio nonno Umberto; la seconda, molto più comune, quantomeno si
spera, ha come attore mio padre Carlo. Umberto Conte Mio nonno materno, originario di Napoli nato fine
900, titolo di studio Licenza Elementare, uomo con caratteri somatici
germanici, alto, magro, con collo lungo, carnagione chiara, coniugato con Serafina Angione, casalinga,
come tutte le donne di allora, anch'essa originaria di Napoli, proveniente da
famiglia umile con introito impiegatizio. La storia di mio nonno è singolare e forse unica
nel suo genere, e sa dell'incredibile. Vi premetto che non ho mai conosciuto
mio nonno pur avendolo visto credo spesso, è morto giovane poco più che
cinquantenne quando il sottoscritto ne aveva meno di 3. Viveva con la moglie e quattro figlie, Clara, mia
madre, Flora, Irma ed Anna, in via Roma 26 in una abitazione di 70/80 metri
quadri, abitazione dell' INA ricevuta in assegnazione, presumo, negli anni
cinquanta; uno dei quattro corpi di fabbrica eguali, di colore giallo
paglierino esistenti alla fine di via Roma, abitazione assegnatagli in quanto ferroviere
dello Stato. Svolgeva il Suo lavoro presso la Stazione Ferroviaria
di Avellino, durante il ventennio, stimato dai colleghi e per l'alto rispetto
per il prossimo e per il suo antifascismo sviscerato, mai nascosto. Iscritto
al dopolavoro ferroviario, covo delle coscienze antifasciste. La repulsione al fascismo la manifestava non
partecipando agli incontri del fascio, non mandava le figliole alla gioventù
fascista, non indossava mai camice di colore nero, tale atteggiamento ebbe
come risvolto il licenziamento dal lavoro. Venne meno quindi l'unico introito
per la famiglia, moglie e quattro figlie. Chiunque altro, in alternativa avrebbe fatto il
muratore, il falegname, il garzone di bottega o qualsiasi altro mestiere
artigianale; ma probabilmente qualsiasi datore di lavoro per evitare rogne
con la dittatura preferì non dare lavoro ad un antifascista. Mio nonno invece, e qui è l'unicità della scelta
e la storia assume risvolti incredibili, da autodidatta studia matematica. Si, senza il supporto né l'aiuto di chicchessia,
studia la matematica. Comincia a dare lezioni prima a studenti delle elementari,
poi a studenti delle medie inferiori e superiori (distinguo attuale) e
successivamente universitari. In città, ancora oggi, testimonianze viventi, lo
conoscono come il professore di matematica. Spesso, in passato, al nome di
Umberto Conte era legata l'espressione “chi...o
professore e matematica ?” e quindi io sono il nipote del professore. Carlo Landolfo (1910 -
1993) Mio PADRE. L'aggettivo possessivo mi inorgoglisce
per l'altissimo senso del dovere, per l'infinita umiltà, per
l'incommensurabile rispetto per il prossimo, per l'eccessiva modestia e per
l'immenso impegno. Avellinese, dolciere (la dizione riportata sui certificati
di allora, attualmente pasticciere), padre di quattro figli, Francesco, Umberto, Rita Carla e
Luigi, sposato con Clara Conte, casalinga. Era noto ad Avellino come Don Carlino, non che
fosse un “mezzo prete” o un “semi camorrista” ma per quel senso di rispetto
che si riconosce e riveste determinate persone. Aveva una piccola pasticceria nella “Beneventana”, strada che successivamente prese il nome di
Via Del Gaizo, pasticceria che conduceva in proprio
e nella quale saltuariamente si alternavano i figlioli. Con il tempo, e per
l'età e per le strade lavorative
intraprese dai figli più grandi, venendo meno, in particolare nei giorni che
precedevano le festività, l'aiuto dei figli, decise di assumere un giovane.
Giovanni M., giovane di 13/14 anni, della stessa età di Luigi, il più piccolo
dei figli, originario di Candida ma residente ad Avellino, ultimo di dodici
figli con un passato non proprio cristallino. Noto alle Forze dell'Ordine per
qualche furtarello e diverse scorribande. Per i Landolfo,
ancora oggi, è Giovanni zeppolella, per quella
leggera inflessione che si avverte ogni qual volta pronuncia la S (cosiddetta
S moscia).Pur conoscendo i precedenti di Giovanni, l'intera famiglia ben
presto lo accolse come un componente della stessa. Spessissimo si fermava a
pranzo ed a cena, partecipava a feste di compleanno ed onomastici ecc.
insomma un quinto figlio per Don Carlino. Dopo pochi mesi, mio Padre, gli
diede le chiavi della pasticceria per aprire la stessa il giorno dopo. Questo gesto sorprese e secondo me segnò il
futuro di Giovanni. Meravigliato, il piccolo ladruncolo, della fiducia
accordatagli, della responsabilità affidatagli, ricordò a mio padre il suo
passato opaco. Mio Padre convinto della bontà della scelta e
dell'insegnamento, sotto certi aspetti sferzante, diede la fiducia
incondizionata al giovane. Da quel giorno Giovanni, pur essendo giovanissimo,
trascorreva più tempo in pasticceria che per strada. Probabilmente Giovanni
non aveva mai avuto una famiglia ne la fiducia dei componenti la stessa;
d'altronde ultimo figlio di dodici, con una differenza di età dal primo
fratello di oltre venti anni, con molti fratelli trasferiti tra Francia,
Belgio e Germania, senza l'affetto e le cure dei genitori, non avrebbe potuto
avere una vita diversa. Dopo circa un anno e mezzo, il fratello che ospitava
Giovanni, per problemi economici e/o familiari non riesce più a sostenerlo ed
avvia la pratica per il suo trasferimento a Napoli, presso il Reclusorio o
Serraglio (Carcere minorile), oggi Real Albergo dei
Poveri. Giovanni partecipa, a mio Padre, questa scelta, che accetta
malvolentieri ed a malincuore. Il giorno del trasferimento di Giovanni,
all'insaputa di tutti e con il consenso della moglie, Don Carlino firma,
presso il Serraglio di Napoli, e diventa il tutore e quindi il rappresentante legale di Giovanni, assumendosi
tutte le responsabilità del piccolo fino alla maggiore età. Giovanni, che aveva
subito già una trasformazione radicale nella morale, nel rispetto per il
prossimo e nel dare un senso corretto ed onesto al corso della vita, si lega
ulteriormente a Don Carlino. Lubrano, scuotendo la testa, avrebbe detto: la
domanda sorge spontanea “Quale sarebbe stata
la vita di Giovanni se non avesse incontrato Don Carlino”. Giovanni Zeppolella
ancora oggi, ultrasessantenne, residente a Torino, quando racconta questa
storia piange e commuove i presenti; porta sempre con se, nel portafoglio, la
foto di Carlo Landolfo. Francesco Landolfo |