IL MONTE DI PIETA’

 

Ovvero il primo istituto di credito di Avellino

 

di Armando Montefusco

 

Profilo storico

Già nel 1545 era stato istituito , nella città di Napoli, un Monte dei Pegni, per poter combattere l'usura, a cui erano esposte principalmente le classi meno abbienti.

Fu grazie alla sensibilità di un confratello di S.M. di Costantinopoli, Francesco Ripa, che venne concepita l'idea di istituire anche ad Avellino un Monte di Pietà, a cui far ricorso in caso di bisogno. L'iniziativa fu  accolta  con grande entusiasmo dalla confraternita di S.M.di Costantinopoli , che operava in una realtà sociale afflitta da miserie e vessazioni.

Finalmente il 29 novembre del 1583,sotto il regno di Filippo II di Spagna, veniva concesso dal viceré D.Pietro Giron d'Ossuna, al suo primo procuratore:Francesco Ripa, il regio assenso per l'erezione del Sacro Monte di Pietà nella città di Avellino.

Questa nuova istituzione venne regolamentata con gli  stessi statuti che caratterizzavano il "Monte " di Napoli e che, nelle linee essenziali, possiamo riassumere  nel  seguente modo:

 

A)  Era assolutamente proibito pretendere interessi sulle somme date in prestito.

B) Per calmierare le richieste di danaro, poteva essere concesso un prestito di 10 ducati al massimo.

C)  Su di una apposita "polizetta" venivano registrati gli oggetti dati in pegno. La suddetta ricevuta, veniva restituita al Monte quando il debitore “spignorava” i propri beni. In caso di smarrimento della polizetta, si procedeva alla "pleggiaria", ovvero con la garanzia di persona conosciuta, il Monte restituiva il pegno ed il debitore la somma ricevuta in prestito.

D)  Eventuali controversie dovevano essere, nei limiti del possibile, risolte bonariamente mediante l'intervento degli stessi deputati del Monte. Solo in casi eccezionali bisognava ricorrere alle autorità competenti.

E)   Nel caso in cui un pegno, non ritirato, veniva messo in vendita,il ricavato ,se superiore alla somma data in prestito, sarebbe stato destinato , per la parte eccedente, al  proprietario .

 

E' facile constatare che questi statuti erano dettati da un estremo desiderio di trasparenza , tendente a salvaguardare soprattutto gli interessi dei bisognosi , e ad evitare ogni forma di abietta speculazione.

La stessa Università di Avellino  non poteva essere insensibile a questa benemerita istituzione sociale, che , specialmente nei primi anni del suo operato , si trovò ad affrontare una serie di difficoltà economiche, dovute all'avviamento dell'attività  . Finalmente il 31 maggio del 1589, l'Università deliberò di assegnare alla "nuova" opera pia detta "Monte dei Poveri" per dieci anni una rendita di 160 ducati annui , da ricavare dalla esazione della "bonatenenza”

Questa istituzione raccolse ben presto una vasta eco di consensi e si istaurò una vera e propria gara di solidarietà che si concretizzò in diversi "lasciti" che non solo consolidarono le casse del Monte, ma ne estesero le competenze; difatti nel 1616 per legato di un tal Mattia Romano, venne istituito anche un Monte di Maritaggio per giovani bisognose.

Consolidatosi nel corso degli anni, il Monte di Pietà nella prima metà del secolo XVII,era diventata una istituzione tanto solida che nel 1642  poté soddisfare un prestito di 280 ducati,

richiesto dall'Università di Avellino ,con un interesse di circa 19 ducati annui.  Nell'occasione l'Università ipotecò "una casa palaziata con magazzino e bottega in Platea publica, prope Doganam" , una bottega in città e le sue stesse gabelle

Evidentemente il "Monte" , oltre a provvedere ai piccoli prestiti, dietro garanzia del pegno e senza interessi, operava a tassi controllati prestiti più cospicui, dai quali poteva ricavare quegli introiti necessari all'autogestione.       

Nel tempo questa istituzione assunse sempre di più la funzione di azienda di credito senza perdere di vista,comunque, i principi fondamentali della sua finalità ; difatti anche quando i prestiti vennero concessi dietro pagamento di interessi, questi si mantennero sempre ad un tasso minimo ed opportunamente regolamentati dalle autorità civili.

Come già accennato precedentemente, la gestione del Monte era affidata alla confraternita laica di S.M. di Costantinopoli che ne nominava i curatori ; non mancarono comunque tentativi da parte delle autorità ecclesiastiche di interferire nella sua gestione, che solo formalmente rientrava nella giurisdizione ecclesiastica. Particolarmente incisiva fu l'ingerenza del battagliero vescovo Bartolomeo Giustiniani , il quale ,ignorando il gran numero di "exhortatur" da parte delle autorità che lo richiamavano alla legalità, con dei veri e propri colpi di mano eleggeva propri delegati di fiducia alla gestione del Monte. Difatti , quando l'Università di Avellino nel 1642 chiese il prestito di 248 ducati, si costituirono, come procuratori del Monte, il canonico Gavotti ed il curato della cattedrale G.Cesis.

Comunque, prescindendo da questi particolari episodi , il "Monte" restò sempre sotto la gestione laica , opportunamente regolamentata dalle “sovrane disposizioni”.

Il 7 giugno del 1801 tutta la documentazione relativa al "Monte di Pietà" veniva depositata in copia dell'originale, presso il notaio Costantino del Franco. Dopo pochi  anni,con l'occupazione francese,la gestione del Monte venne tolta alla confraternita ed affidata all’autorità civile.Dopo la restaurazione borbonica, la confraternita venne reintegrata in tutti i suoi beni il primo febraio del 1816 .Comunque questa reintegra divenne operativa solo con il Sovrano Rescritto del 28 novembre del 1829. Da questa data il Monte assunse una fisionomia più moderna : innanzitutto gli amministratori venivano retribuiti; ad essi inoltre  era demandato il compito di gestire i depositi di altre opere pie o di incamerare i ricavati delle vendite dei beni demaniali   o di custodire le doti delle giovani. Eventuali interessi  ricavati da questi depositi venivano distribuiti ai poveri.

Dopo l’unità d’Italia , il Monte passò sotto l’ amministrazione sorvegliata della Banca d'Italia.

 

 

Cronaca di un furto

Alcuni anni or sono ,durante i lavori di ristrutturazione del fabbricato che ospitava il Monte e che si trovava  sulla sinistra di chi guarda la chiesa di S.Maria di Costantinopoli, è stata asportata una armatura in ferro che "corazzava" la stanza del "tesoro".

Questa armatura   venne costruita verso la fine del secolo XIX in seguito ad un audace furto avvenuto nel 1894 , ad opera  di ladri antesignani della "banda del buco".

Il 12 marzo del 1894 , Luigi ed Errico de Luca, padre e figlio, di Napoli, presero in fitto un appartamento di Emilio Solimene situato sopra la sede del Monte di Pietà. Con la complicità di persone del luogo ,nella notte del 20 marzo , praticando un buco nella loro abitazione , si introdussero nella “stanza del tesoro” del Monte ed asportarono valori per un ammontare di 70.000 lire. Le indagini condotte dall’autorità giudiziaria furono espletate con grande perizia , tanto che dopo pochi giorni alcuni componenti della banda furono  assicurati alla giustizia ed  fu recuperata parte della refurtiva. Quando nel novembre del 1896 venne celebrato il processo, tranne uno che era riuscito a riparare all’estero, tutti gli altri erano alla sbarra degli imputati, e precisamente: Luigi ed Errico de Luca di Napoli ; Noè ed Elisa di Sapio di Monteforte ; Raffaele Amodeo alias Pacchipacchi di Mercogliano; Vincenzo Spigno di Marano e Angiolina Sauchelli. Poichè fortunatamente gran parte della refurtiva era stata recuperata il Monte poté riaprire nel luglio del 1894. I procuratori , comunque, ritennero opportuno costruire una "camera blindata" ed a tale scopo venne ordinata una griglia di ferro che costò £ 1000.

 

 

 

 L'archivio del Monte dei Pegni

 

Fino a circa quarant' anni fa, l'archivio del "Monte" marciva in un angusto locale dei sotterranei della Chiesa di S.M.di Costantinopoli, preda dei topi e dell'umidità.Grazie alla sensibilità del prof. Biondi,da anni presidente del "monte", il suddetto archivio veniva consegnato alla Biblioteca di Montevergine.L'evento veniva reso pubblico mediante un articolo apparso sul "Corriere dell'Irpinia" del 4 Aprile 1959, a firma del padre archivista don Mario Placido Tropeano.

Attualmente questo archivio che consta di un centinaio di registri ed altrettante cartelle, pur avendo una collocazione dignitosa ed una prima classificazione, necessita di una sistemazione più dettagliata. Esso- una vera miniera per la ricerca storica- richiederebbe uno studio attento e sistematico, eventualmente supportato da strumenti informatici. 

Noi abbiamo esaminato  solo i due volumi più antichi , in cui venivano registrati gli "utenti" del Monte. La registrazione consisteva nell'annotare la data, le generalità dell'utente , la descrizione del pegno, la somma erogata. Quando il debito veniva saldato, sul bordo del foglio , in corrispondenza del rispettivo nominativo, si appuntava "solvit" seguito dalla data del saldo. Nel secolo XVII al termine "solvit" si preferì:"soddisfatto", che comunque venne presto sostituito con quello definitivo di "spignorato".

Nel caso in cui il pegno non veniva ritirato, si procedeva alla  vendita, per cui sul foglio si annotava: "venduto",seguito dalla data della vendita e dal prezzo ricavato.

Fino a  tutto il secolo XVIII, i pegni venivano registrati senza alcuna distinzione della loro natura ; in seguito si preferì procedere ad una classificazione secondo che si trattasse di oggetti in "oro e argento" o "panni in lana, lino ,seta,ferramenti e rame".

Verso la fine del '700 si provvide ad una ulteriore distinzione in tre volumi:"Oro e argento"-

" panni in lana ,lino e seta"  - " rame e ferramenti" .                         

Il registro veniva affidato al "governatore seu tesoriere", il quale appuntava su di esso la data in cui prendeva le consegne:

 "Libro che si fa per me Tommaso Peluso tesoriere del sacro Monte   della Pietà della città di Avellino. Li tutti pigni che si   riceveno in conminciando col il nome di Dio e della gloriosa   Vergine Maria. A dì 27 di Maggio 1636 ".

Per statuto il tesoriere restava in carica circa un anno, ciò naturalmente per evitare corruzione o indebite appropriazioni.

In realtà questa norma veniva rispettata solo negli anni in cui era "fiorente"l'attività del Monte .Nei periodi di stasi  il tesoriere conservava la carica per diversi anni.

 

 

 

  I  VOLUME :

 Il primo volume comprende il periodo tra il gennaio del 1585 e l'agosto del 1628  (il primo cliente del Monte fu un tal Scipione Cavuoto di Avellino, il quale il 5 gennaio del 1585 impegnò un anello d'oro, che ritirò nel maggio dello stesso anno).

 

II VOLUME :

 Comprende il periodo che va dall'agosto del 1628 fino al 1736.

 

 

Esaminando questi due volumi abbiamo cercato di ricostruire solo  i primi cento anni di attività del "Monte", annotando alcuni parametri significativi:  anno- numero totale di utenti- pegni  non ritirati. Vediamo cosa successe nei primi quattro anni di attività:

 

 

Anno       N.utenti          Pegni non ritirati

1585          294                      22

1586          293                    171

1587            32                      25

1588              0                        0

 

I  dati della tabella  lasciano intendere che dopo i primi anni di "frenetica" attività ,il "Monte" si trovò di fronte ad un evidente periodo di crisi, dovuto, molto probabilmente ,ad una disastrosa gestione - ingenua o colposa? - che dissipò il capitale iniziale distribuendolo " improvvisamente " a quanti ne facessero richiesta. Dai dati disponibili,relativi alle registrazioni del 1586 e dei primi tre mesi del 1587, abbiamo potuto rilevare che il "Monte" erogò circa 470 ducati recuperandone solo 160. Verosimilmente la valutazione dei pegni non era adeguata al loro reale valore, per cui l'utente preferiva non spignorarlo; ovviamente era anche difficile il "recupero" mediante la vendita.

Probabilmente questo stato di cose indusse i confratelli di S.M. di Costantinopoli a chiedere l'intervento dell'Università di Avellino. Questo intervento si  concretizzò , nel 1589, con quella sovvenzione annua di 160 ducati, di cui abbiamo riferito precedentemente. Nel 1589 il Monte riprese la sua attività anche se in maniera molto ridotta , in quanto il dissesto degli anni precedenti faceva sentire ancora il suo peso. Per porre un freno agli errori del passato si pensò di introdurre nuove figure nella gestione del Monte e precisamente il ” guarda robbe “ e il “ tesoriere”.  Il primo prendeva in consegna i pegni e garantiva che il valore assegnato fosse adeguato al valore reale; il secondo gestiva invece il “registro degli esiti” (uscite). Nel tempo , comunque, entrambe le funzioni vennero affidate al “tesoriere”. Come già accennato precedentemente , la ripresa dopo il 1589 fu lentissima :  infatti in circa dieci anni di attività vi furono solo 100 utenti.

 

           Anni                N.utenti

    1589-1598                100

 

A partire dal 1599 e fino al 1609 si avverte già in maniera più significativa la ripresa dell’attività del Monte . Infatti:

          Anni                N.utenti              Pegni non ritirati

  1599- 1609                321                         46    ca.14 %

 

Dal 1610 , per circa trent’anni ininterrottamente, l’attività del nostro istituto si rivela a pieno regime , con un rapporto ben equilibrato tra numero di utenti e pegni non ritirati.

 

       Anni                   N.utenti             Pegni non ritirati

  1610-1620                 2526                      202   ca.8 %

  1621-1630                 1902                      262   ca.14 %

  1631-1640                 1780                      158   ca. 9 %

 

Agli inizi del XVII secolo, il grande impulso dato dai Caracciolo all'industria della lana e a quella molitoria  richiamò dalle località vicine un gran numero di persone, che produssero sia un incremento considerevole della popolazione residente, sia un fiorire di attività economiche legate a queste industrie. Tale momento positivo per la nostra economia sembrerebbe in accordo con i dati forniti dalla tabella ,dove , accanto ad una utenza rilevante , troviamo degli indici in percentuale di pegni “non ritirati” piuttosto accettabili. E’ probabile che la richiesta di danaro proveniva da piccoli imprenditori , contadini, artigiani, commercianti, che con quei capitali , seppur modesti  , cercavano di potenziare le proprie attività. Il basso indice dei “pegni non ritirati “ deve far pensare che l’investimento era stato fruttuoso e che si era potuto onorare l’impegno preso con le casse del Monte.

 

Negli anni ’40 , i dati denotano un periodo di stasi di non facile interpretazione :

 

      Anni                   N.utenti               Pegni non ritirati

  1641-1650                 433                        31   ca. 7 %

 

La scarsa utenza , con un indice di “pegni non ritirati” piuttosto basso , potrebbe far pensare ad una condizione economica non negativa . Certamente sul numero basso di utenti avrà inciso anche il periodo di disorientamento dovuto ai torbidi verificatisi in conseguenza della cosiddetta “Rivoluzione di Masaniello” (1647).

 

Gli anni ’50 ripropongono un andamento molto simile al precedente:

 

    Anni                     N.utenti                 Pegni non ritirati

 1651-1660                 542                            37   ca.7 %

 

Naturalmente questi anni furono caratterizzati dalle tristi vicende della epidemia di peste del 1656. Può essere utile fare una disamina particolareggiata di quest’anno:

 

 Mese       Numero di Utenti                      

 

gennaio           18

Febbraio           5

marzo             13

Aprile             20

maggio           17

giugno             0

Luglio              0

Agosto             1

Settembre         0

Ottobre            0

novembre         1

dicembre         11

 

Come è facile constatare l'attività del Monte subì un netta interruzione dal giugno al novembre del 1656, proprio nei mesi in cui maggiormente infuriava il morbo.Le singole registrazioni di agosto e novembre, certamente furono un atto di pietà nei confronti di qualche povero sventurato.

La tragedia ben presto si rivelò in tutta la sua drammaticità : la popolazione venne decimata , ogni attività commerciale venne bloccata; difatti furono impedite le fiere, i mercati e furono vietati i commerci con i paesi vicini. L'abate M. Giustiniani, testimone di quei giorni, nella sua opera "Storia del Contagio..." dice che la popolazione di Avellino si ridusse da 10000 abitanti a 2500. Interessante la nota riportata nel Registro dei Morti  (1642- 1708) dell’Archivio della Cattedrale di Avellino, in cui al foglio 108 (v)  leggiamo << Se hanno da scrivere li morti che in questa pesta (sic) sono passati a miglior vita numero 6610 in circa>>.

Le tristi conseguenze  di questo enorme depauperamento della popolazione , accompagnato dalla inevitabile crisi economica , fecero sentire il loro peso per lunghi anni .

La tabella relativa ai primi decenni dopo la peste  è ,a nostro avviso, un segno di questo stato di disagio .

 

  Anni              N. Utenti          Pegni non ritirati

1661-1670       156                     12    ca.8%

1671-1681       224                      9     ca.4%

 

Naturalmente , come già segnalato in precedenza, teniamo a sottolineare che la nostra è solo una breve disamina di una piccola parte dell’Archivio. Esso andrebbe studiato e valutato nella sua interezza per poter ottenere una giusta chiave di lettura.

Sfogliando un volume dei primi anni dell'ottocento , siamo stati colpiti da una singolare registrazione: una tal Carmina D'Agostino, il 30 marzo 1810 impegnava <una spagnoletta di seta torchina> per ricavarne  appena  50 grane.  Quel misero"rocchetto" di filo veniva spignorato dal marito:Raimondo Carullo, dopo circa due anni  e non senza aver pagato anche 6 grana di interesse.

Il pensiero corre al noto film :"Miseria e Nobiltà" e precisamente alla gustosa scenetta, interpretata da Totò ed Enzo Turco ,dove i due "poveracci" fanno mille progetti su di un vecchio e logoro cappotto da impegnare; sembrerebbe una scena costruita ad arte, invece.....è proprio vero che spesso la realtà supera la fantasia! Quante miserie umane fra quei polverosi registri!

 

 

 

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