La città di ieri, la notte bianca di oggi. Qualche riflessione.

Carla Perugini

 

Osservo con tenerezza e commozione le foto nel vostro sito di un’Avellino perduta, bella anche nei suoi aspetti notturni. E rifletto sul presente.

Una volta la notte suggeriva immediatamente pensieri legati al riposo, o all’intimità, o, nei casi peggiori, alla paura. «Forse perché della fatal quiete/ tu sei l’imago a me sì cara vieni,/o Sera», recitavamo, qualche generazione fa, con il Foscolo, associando alle tenebre notturne un’infinità di memorie in versi, prose, dialoghi drammatici e sentenze popolari. Ma se oggi si chiedesse all’anonimo uomo della strada quale sia l’associazione immediata che gli viene alla mente nominando la parola “notte”, scommetto che una buona percentuale sceglierebbe l’aggettivo “bianca”, privilegiando un sintagma che, per i desueti cultori della letteratura, fino a qualche anno fa riportava piuttosto alle memorie di un sognatore chiamato Fedor Dostojevskij.

Poiché il laudator temporis acti rischia di essere scambiato per un reazionario e la civiltà della conservazione e del ripristino dell’antico interpretata come una manovra anacronistica e regressiva, mi appellerò al semplice buonsenso del cittadino comune per invitare chiunque abiti in città (popolazione e governanti) a qualche riflessione in margine all’appena trascorsa settimana dedicata alla musica nel cinema e culminata con la notte bianca dell’8 settembre. Mi limiterò alla constatazione di dati di fatto, conditi con qualche considerazione personale. E dunque: la strabordante offerta monotematica di musica in un’Avellino angustiata da devastanti problemi di traffico e di circolazione, in un periodo climaticamente piuttosto infelice per le piogge e il freddo autunnale e perciò stesso poco indicato per concerti all’aperto, mi è sembrata una scelta culturalmente ed economicamente errata e, in ogni caso, ad onta degli entusiastici auspici che il presentatore rinnovava ad ogni pie’ sospinto, da non ripetere l’anno prossimo, e meno che mai da far diventare un appuntamento fisso. Dio ci scampi da un ennesimo festival del nulla e sul nulla! E ciò per due motivi di fondo: il primo si riferisce alla musica come arte, che, a mio parere, così presentata non ha nulla da guadagnare né da insegnare a un pubblico attratto più dal luccichio di un nome e dalla gratuità dell’evento che da un reale interesse per la “categoria” Musica. In un paese che non insegna la musica nelle scuole, che è privo di qualsiasi alfabetizzazione sonora e scambia il rumore e la mondanità per arte, l’offerta continuata di concerti spesso privi di spessore e in contemporanea, senza un filo conduttore o una riflessione sul fare musica, dove un pianoforte e un clarinetto devono competere, per farsi sentire, con la tiritera infantile a pochi metri di distanza, la trovo del tutto superflua e diseducativa. E non perché l’arte debba a tutti i costi educare, ma perché una simile maniera di porgerla non fa che incrementare la tendenza al consumo frenetico di qualsiasi cosa possa definirsi “svago” e “tempo libero”, lasciando il tempo che trova e magari peggiorando la situazione.

E qui vengo al secondo motivo della mia opposizione: la notte bianca, un fenomeno nato a Parigi e di lì diffusasi ovunque, aumenta questa deriva cialtrona e balorda del considerare la notte un qualcosa da consumare, al pari di tutto il resto, incrementando alla fin fine solo le spese nel commercio e nei locali, imbrattando le strade di cartacce e rifiuti, negando il sonno a chi ha bisogno o voglia di riposare, creando una fittizia comunità di persone che il giorno dopo torneranno allo stesso isolamento di prima.

So già che mi si potrà obiettare che molti concerti sono validi, o che la gente si diverte o non so che altro. D’accordo. Io sono convinta, però, che le risorse pubbliche, in un periodo di tagli alle necessità essenziali di un paese, vadano oculatamente distribuite e indirizzate, se di cultura popolare vogliamo parlare, verso istituzioni e spettacoli che siano un fattore di crescita permanente per la popolazione, soprattutto giovane, e non un ennesimo fenomeno, tanto luccicante quanto effimero, sospetto di spreco delle finanze.

 

 

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