QUANDO SI NASCEVA IN CASA

di Andrea Massaro

Per millenni, i primi istanti di vita dell’uomo si sono avvalsi dell’apporto di una singolare figura di donna, considerata  nei vari secoli ora una fattucchiera, ora una persona ben addentrata nell’arte sanitaria, ora una sorte di santona, capace di intervenire nelle circostanze più disperate nel difficile momento della nascita di una nuova vita: la levatrice, ovvero la vammana, come era chiamata nei nostri paesi.

 

Un neonato assistito dal medico e

dall’ostetrica nella clinica Aufiero.

( foto tratta dal sito www, avellinesi.it)

 

Ad Unità d’Italia avvenuta, ad occuparsi delle levatrici sarà una serie di provvedimenti legislativi, a partire dal Regio Decreto 10 febbraio 1876, relativo al “Regolamento delle Scuole di Ostetricia per levatrici”, per proseguire con la legge sanitaria Crispi, che porta il numero 5849, adottata il 22 dicembre 1888, con la quale si stabilivano i titoli necessari per poter esercitare un’attività sanitaria. A tanto, più opportunamente, fece seguito il Regio Decreto n. 6678 del 1890.

Con la creazione delle condotte ostetriche fu assicurato a tutte le donne povere ed abbienti l’assistenza ostetrica.

Numerosi altri provvedimenti (1901, R. D. L. n. 45; 1906, R.D. 66 e 1910, Legge 455) si seguiranno in materia sanitaria. In particolare nel 1910 furono istituiti gli ordini professionali, dai quali sono escluse le levatrici. Con l’abolizione dei liberi sindacati ad opera del regime fascista e la creazione dei sindacati fascisti di categoria,fu istituito un sindacato nazionale delle levatrici.

Con R. D. L.  n. 184 del 1935, abbiamo, invece, l’albo delle levatrici.

In precedenza con la creazione dell’O. N. M. I., nel 1925, alle levatrici furono attribuiti alcuni compiti nei consultori ostetrici e pediatrici.

Un atto importante per le nostre “vammane” avvenne con il R. D. L . del 1 luglio 1937, n. 1520, con il quale il titolo di levatrice venne sostituito con quello di ostetrica, anche in considerazione del tipo di studi richiesto che si otteneva dopo la frequenza di un corso triennale, alla cui ammissione si richiedeva il diploma di scuola media inferiore  o la licenza complementare (R. D. L .  n. 1634, del 1927). Nei secoli precedenti le nostre “vammane” conobbero periodi alterni.

Gran parte di queste donne potevano contare sulla propria esperienza personale. Nei vari registri dello stato civile, istituiti a partire dal 1809 dal Governo napoleonico nel Regno di Napoli, quasi tutte le levatrici che si presentavano dal Sindaco per denunciare la nascita di un bambino firmavano la dichiarazione con il classico “segno di croce”.

Tale circostanza continuò anche negli anni a venire. Soltanto con l’Unità d’Italia, la materia trova alcune fonti normative.

Un periodo di grande considerazione sociale delle levatrice appare, invece, nel periodo della Controriforma, quando con il Concilio di Trento alle “vammane” venne riconosciuto il privilegio di poter amministrare ai neonati il sacramento del battesimo.

Tra la fine del Cinquecento e nei secoli seguenti, la “vammana” appare come elemento di spicco nella società dell’epoca, partecipando in prima persona anche ai battesimi amministrati dai parroci nelle rispettive parrocchie. Ciò anche perché il battesimo veniva amministrato nella stessa giornata della nascita del bimbo. Inoltre, in quei secoli, era molto raro che il padre partecipasse al rito che si svolgeva al fonte battesimale, mentre era più naturale trovarlo nei campi o nelle botteghe a lavorare, mentre la madre, se sopravviveva, doveva fare i conti con lo stato di salute.

Per altre donne, invece, in verità molto eccezionali, il parto avveniva in maniera spontanea e fisiologica, ed erano in grado di riprendere una vita normale a distanza di poche ore dall’evento. Un altro aspetto della delicata funzione sociale svolta dalle levatrice, la si nota nel Regno di Napoli nei primi decenni dell’Ottocento. Contro il facile stereotipo negativo che vedeva le “vammane” ignoranti, superstiziose e rozze, queste donne si dimostrarono abili mediatrici con le madri per indurre le famiglie a praticare le vaccinazioni antivaiolose ai propri figli, pratica introdotta dal medico Edward Jenner. A lodare l’opera delle levatrici sarà anche lo storico della medicina Salvatore De Renzi, nostro conterraneo di Paternopoli, il quale fa notare come le partorienti si sentivano rincuorate e  consolate più dalla presenza della più ignorante delle levatrici che dai soccorsi abili di un medico ostetrico. La delicata operazione della vaccinazione trovò larga diffusione durante il Decennio francese e nel successivo periodo della Restaurazione borbonica.

 

“Verdummara” in Piazza del Popolo. Queste e altre donne sono state  le pazienti delle nostre “vammane”

 

 

 

Limitando la nostra ricerca al territorio del capoluogo i documenti ci consegnano i nomi di alcune di queste instancabili donne, alle prese con le tante avversità che la vita frappone sin dal momento della nascita dell’uomo.

Tra le “mammane” che hanno operato in Avellino i documenti della Cattedrale di Avellino hanno tramandato, attraverso il libro dei battezzati, anche molti dei loro nomi.

Le prime donne indicate nel primo registro dei nati, che parte dall’1 gennaio 1591, corrispondono a Bartomia de Iandoli e Aquila Ruta, appartenenti a due antiche casate avellinesi. Bartomia e Aquila legheranno il loro nome a moltissime famiglie della città attraverso un’istituzione affettiva che ha avuto un grande ruolo nella società civile, quale è stata la “comare” che, assieme a quello del “padrino” sono stati tenuti in una giusta considerazione nella nostra comunità       

Arrivando, poi, al primo decennio dell’800, troviamo impegnate al capezzale delle partorienti ancore molte “mammane o vammane” come Giuseppa Lanzilli (1750-817), Anna Farvatera (n.1770-1817), Maddalena Guerriero (n. 1754) e poi, ancora, Carolina Mattieri (n. 1792), Maria Della Bruna (n.1793), Maria Rosa Santolo (n. 1768), Nicoletta Marinella (n. 1784), Orsola Battista (n. 1780), Isabella Festa (n. 1784), Saveria Fasulo (1756-1821), Alessandra Matarazzo (1779-1834), Elena Guerriero (1753-1829) Maria Sarchioto (1783-1833), Raffaela Carbone (1779-1847), Costantina Maglio (1787-1837), Giuseppa Roca  (1742-1816), Angela Mazza (1763-1837), Domenica Genovese (n. 1754 a Picarelli – Mercogliano 1834) e Orsola Pagano (1754-1817).

Negli anni seguenti si distinguerà nell’incarico anche l‘ostetrica Cirino Eristide (1884-1941), vincitrice del concorso del 1921 insieme a Giovanna Sarchiola, fino ad arrivare ad alcune delle ostetriche a noi più vicine, come Antonia Cannaviello Montefusco (Atripalda 1913- vivente), Elena Battaglia Impagliazzo (Forio d’Ischia 1908-Avellino 1994), Elia Sacco Tulimiero (1909 -2000), Italia Silvestri (1916 – vivente), Grazia Romeo Gargano (1918-vivente) e le moltissime altre appartenente a questa benemerita categoria, silenziose eroine impegnate a lottare con le mille avversità naturali per il trionfo della vita.   

 

RIZZO GIOVANNA

Una “vammana” avellinese internazionale

Giovanna Rizzo è stata una “verace” avellinese che ben presto si affermò nella vita civile, grazie alle  sue non comuni doti di capacità, intelligenza e intraprendenza.

Nata il 23 giugno 1870 nel popoloso Rione di Sant’Antonio Abate, di Avellino, dal macellaio Carmine Rizzo e da Pasquarella Ruocco, sin da piccola, a differenza delle sue coetanee di pari rango, frequentò le scuole con buoni risultati. Malgrado gli impegni scolastici, in età giovanissima, trovò il tempo di innamorarsi di un audace giovane di Avellino, Giovanni Sarchiola, con il quale si sposò il primo ottobre 1885, quando da pochi mesi aveva  compiuto il quindicesimo anno di età. Poco tempo dopo la troviamo impegnata, invece, a frequentare il biennio 1887 – 1889 del corso ufficiale alla Clinica Ostetrica Ginecologica della Regia Università di Napoli, per il conseguire il diploma di “Ostetricia minore”, brillantemente superato il 13 agosto 1889. Oltre al corso ufficiale, nello stesso periodo, presso la scuola privata del Cav. Prof. Michele Autiriello fu assidua allieva del corso di Ostetricia minore, diretto dall’illustre ginecologo napoletano, “dando prova di intelligenza, volenterosità, e di grande attitudine ad apprendere”. Tale impegno le procurò nel luglio del 1889 il diploma con “ottima votazione”. Oltre agli studi Giovanna Rizzo acquisì una notevole pratica nell’arte sanitaria prestando servizio in varie cliniche di Napoli, ove ebbe occasione di farsi notare per la sua assistenza prestata in parti difficili e nelle operazioni ostetriche e ginecologiche di notevole importanza. Ottenuto il diploma di levatrice iniziò per Giovanna Rizzo un’intensa attività professionale che la  vide impegnata in ben tre continenti.

 

L’ostetrica condotta di Avellino Giovanna Rizzo

 

Suo marito, Giovanni Sarchiola, nato in Avellino il 1° aprile 1861, da Giuseppe, di professione “sartore”, e da Saveria Dente,  fu anch’egli un personaggio intraprendente e volitivo che, sicuramente, possedeva  nel sangue un’inestinguibile sete di avventura.  Artigiano irrequieto, a cui non stava bene la monotona attività paterna di sarto, alla quale era stato avviato dalla sua famiglia, alla fine dell’Ottocento decise d’imbarcarsi con a seguito la giovane moglie alla volta del Nuovo Mondo. Raggiunta l’America si fermò a New York ove s’industriò in proficue e fortunose attività commerciali, aprendo un negozio ben fornito di generi vari. Non di meno farà la giovane levatrice Giovanna. La troviamo, infatti, negli anni 1892 - 1894 in servizio presso una clinica privata newyorchese aperta in Elisabett Streett anni prima dall’italo americano Dott. Prof. A. Rosapepe, il quale rilascerà alla sua giovane collaboratrice un attestato dal quale si  rileva che la stessa, durante il suo servizio, “ha dimostrato una non comune cultura nell’esercizio della sua professione”.  Nel periodo americano la coppia avellinese sarà allietata dalla nascita della primogenita, Gilda, nata non lungi dalla statua della Libertà il 23 agosto del 1891.

Due anni dopo, il 4 luglio del 1893, nascerà anche Linda, morta il 31 ottobre 1895. Poco tempo dopo Giovanni Sarchiola, e con lui la moglie e la piccola Gilda, affrontarono nuovamente un lungo viaggio attraverso le onde ed i marosi dell’Atlantico per rientrare in Avellino, ove la levatrice Rizzo, forte dell’esperienza acquisita in America, ebbe varie opportunità per esercitare la sua attività con l’avallo dei migliori ostetrici e ginecologi di Avellino, alcuni assurti a vere icone della medicina e sanità avellinese tra Otto e Novecento, come il Dott. Carmine Barone  (1849 - 1943), clinico, ostetrico-chirugo di chiara fama, oltre che consigliere provinciale e  Sindaco di Avellino durante gli anni 1897 – 1898, e ancora nel triennio 1905 – 1907, il quale dichiarò il 12 gennaio 1921 che la levatrice Giovanna Rizzo si era dimostrata “abile, accorta e diligente “ nell’esercizio della sua professione. In Avellino la famiglia Sarchiola-Rizzo trovò alloggio nella Via Dogana, ove alcuni decenni dopo altri suoi parenti acquisteranno il celebre edificio della Dogana, ridotto a cinema alla fine degli anni ’20 del Novecento da un altro dei Sarchiola, Umberto. Nei decenni seguenti l’abilità  e la  perizia di Giovanna Rizzo saranno dichiarate con convinzione da altri illustri clinici avellinesi, come l’ultracentenario Dott. Eduardo Festa (187–1974), Professore in Ostetricia e Ginecologia, il quale tenne ad evidenziare come la nostra levatrice dimostrò sempre notevole competenza nel riconoscere la sintomatologia dei parti distoici.  Sul profilo morale della Rizzo il Prof. Festa ha lasciato una sua chiara testimonianza sulla correttezza professionale della stessa ostetrica, la quale si mostrava “ben lungi dal derogare alle leggi”, mentre il suo lavoro era svolto con vero scrupolo, specialmente nell’assistenza agli aborti spontanei, ai quali prestava la sua assistenza legale e tecnica. Un’altra importante dichiarazione fu resa dal longevo medico e chirurgo - ostetrico, Prof. Natale Pirera (n. 1847 e morto verosimilmente fuori Avellino dopo il 1927), Direttore dell’Ospedale Civile di Avellino, al quale toccò per primo sperimentare nell’Ospedale del capoluogo la prodigiosa “Linfa di Koch” per combattere la tubercolosi. Nel certificato rilasciato nel febbraio del 1921, esibito per il concorso alla condotta ostetrica presso il Comune di Avellino, al quale in quell’anno partecipò Giovanna Rizzo, il Direttore Pirera dichiarava la “non comune cultura nell’esercizio della professione” della brava operatrice sanitaria, tanto da meritarsi la sua completa “stima e fiducia”. Attraverso la lettura dei certificati di servizio veniamo a conoscenza di altri interessanti spunti della vita movimentata della ben assortita coppia avellinese. Dopo il rientro in Avellino dagli Stati Uniti, avvenuto nel 1897, Giovanni Sarchiola fu contagiato nuovamente dalla febbre dell’ignoto. E questa volta la prua della nave fu diretta verso una terra lontana e ancora misteriosa, dove si trovavano i più grandi giacimenti di diamanti del mondo: il Sud Africa.

Giovanni Sarchiola doveva essere affascinato dalle notizie che arrivavano dal lontano paese, ancora in lotta tra inglesi e boeri, questi ultimi affiancati anche dalle popolazioni zulù. Nel 1902 gli inglesi riuscirono a comporre la lunga guerra, unificando tutto il Sudafrica, entrato nel Commonwealth britannico con il nome  di Unione Sudafricana.  Arrivata con il marito nel 1900 a Johannesburg, Giovanna Rizzo non trovò alcuna difficoltà nell’espletare della sua professione, grazie anche alla buona conoscenza della lingua inglese, appresa durante il soggiorno statunitense.

A fornirci le notizie relative all’attività sudafricana sarà il Dott. Prof. Walter  Fietti, esercente la professione di Ostetricia e Ginecologia nella città di Johannesburg, (Sud Africa Inglese), come è chiaramente precisato nel documento. Il  Prof. Fietti doveva appartenere a quella schiera di audaci pionieri che portarono il genio e la civiltà italiana in tanti posti del mondo. Direttore e proprietario di una clinica realizzata a Johannesburg, il Prof. Fietti si avvalse nella sua struttura per ben cinque anni, dal 1900 al 1905, della preziosa assistenza della capace “vammana”,  nata nel popolare borgo di Sant’Antonio Abate e diventata cittadina del mondo, come poche altre alla sua epoca. Frattanto, negli anni che vanno dal 1897 al 1900, Giovanni e Giovanna metteranno al mondo in Avellino due figli: Ugo, nato il 25 luglio 1897 e morto il 26 ottobre 1898, e Linda, nata il 23 luglio 1900, che sopperì nel nome la precedente bimba scomparsa a due anni e che portava lo stesso nome. Rientrata in Avellino dal Sud Africa, alla famiglia Sarchiola, stabilitasi nel pittoresco Vicolo della Neve, nei pressi di Piazza del Popolo, si aggiunse, infine, l’ultimo nato, Giuseppe, venuto al mondo il 19 luglio 1907. Con il passare degli anni sembra chetarsi la smania delle partenze di Giovanni Sarchiola. Sua moglie Giovanna, alcuni anni dopo, esercitò la libera attività per poi passare  nel lavoro avventizio presso una delle tre condotte ostetriche municipali di Avellino, la cui stabilità sarà assicurata con il pubblico concorso bandito dal Comune nell’anno 1921, con la nomina delle vincitrici, avvenuta il 3 ottobre di quell’anno. Inizia così una lunga e indefessa attività professionale che vide impegnata Donna Giovanna Sarchiola in tante abitazioni signorili e in altrettante umili casupole dei quartieri poveri di Rampa Tofara, delle Tintiere, delle Fornelle, di Rampa Macello e degli altri posti della città antica, oltre che delle oltre sessanta contrade dell’Avellino che fu, munita dalla sua inseparabile borsa dei “ferri” per assistere e aiutare la nascita di tantissime generazioni di uomini e donne della città e dei centri limitrofi.

La straordinaria carriera di Giovanna Rizzo s’interruppe bruscamente in Avellino il 3 marzo 1933, quando la morte prevalse sulla vita, tante volte da lei sconfitta negli innumerevoli e perigliosi, oltre che drammatici parti.  Questa volta la sua arte esercitata per favorire la venuta al mondo si dovette arrendere al naturale ciclo della stessa vita.

Una tomba eretta presso l’entrata del Cimitero di Avellino la ricorda all’intera cittadinanza.

    

 

 

 

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