Pantani

 

Quasi tutti gli avellinesi lo chiamavano Pantani per la straordinaria somiglianza  col prestigioso centrocampista militante nel favoloso Avellino della prima e storica promozione in serie B, nel campionato 1972/73. Del calciatore aveva gli stessi caratteri somatici e una capigliatura biondo-scura, rada sulla sommità del capo,folta e lunga sul collo.

Era una persona mite, sempre gentile e discreta. Fin da ragazzo  ha lavorato come stampatore dipendente presso una tipografia della città, restando un semplice cittadino conosciuto da parenti e amici. Ad un certo punto della sua vita fu preso dalla passione per fotografia e armato di macchina altamente professionale girava per la città, fotografando quello che gli stava più a genio.

Contemporaneamente, per effetto della  maggiore visibilità, si diffondeva sempre più  il nome affibbiatogli, tanto che quasi nessuno lo chiamava col  nome di battesimo.

Sicuramente deve aver costruito un grande archivio fotografico, sia di cose che di persone, in quanto la macchina era diventata una sorta di mitraglietta. Oltre alle foto che scattava per sé non negava mai un’istantanea alle persone che incontrava per strada.

Sperava così di incrementare il salario di tipografo con il ricavato della vendita delle foto.

Solo raramente tanto accadeva, perché il più delle volte la gente, quella più meschina, rifiutava il ritiro delle stampe che restavano in possesso di Pantani, che  vedeva così aumentare di giorno in giorno il proprio archivio.

Quando il suo datore di lavoro,nel ridimensionare la propria attività, lo licenziò, Pantani scoprì che anni della sua vita lavorativa erano stati buttati via. Senza contributi per la pensione e per il trattamento di fine rapporto si trovò con le pive nel sacco. Senza saperlo era un precursore di lavoratore extracomunitario, cioè a nero.

Come tutte le persone dolci, senza gesti clamorosi, si dedicò ancor di più al suo hobby, fotografando di tutto e di più. Forse per i costi eccessivi dell’attività, all’improvviso s’eclissò dalle vie principali della città e cominciò a frequentare strade secondarie dove era più facile trovare posti telefonici pubblici. Pare che avesse incominciato a coltivare lo svago della  collezione delle schede telefoniche, che a quel tempo aveva un discreto mercato. Divenne un cacciatore di tessere, tanto che non disdegnava rovistare nei cestini adiacenti alle cabine telefoniche.

Però un destino baro e beffardo lo perseguitava. Alla fine degli anni novanta i telefonini avevano raggiunto bambini, adolescenti, adulti e vecchi, facendo diventare desueta la telefonia pubblica, eliminando per sempre le carte prepagate.

Negli anni successivi si fece vedere raramente in città, finché un giorno di pochi anni or sono apparve il manifesto della sua dipartita e nel rigo sottostante al  nome anagrafico c’era scritto: “detto Pantani”.

 

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