Ma si può fare una dichiarazione di amore alla Dogana?.... Dogana è una brutta cosa e una brutta parola, antipatica, che evoca altre brutte parole, tipo imposta, tassa, quella odiosa sul macinato, dazio e Dazio venne chiamato e si chiama tutt’oggi un paese, perché un tempo il bestiame che si recava ad alpeggiare, passando di qui, doveva pagare una tassa al feudatario e quindi Feudalesimo con i suoi abusi e le sue prevaricazioni, che comunque ci fanno sorridere se riandiamo col pensiero all’episodio di Troisi e Benigni quando sono costretti a versare ripetutamente “un fiorino!” attraversando un varco doganale. Abuso di potere, evasione fiscale, truffa: “truffa milionaria sventata da una indagine della dogana” (e meno male quando non è essa stessa ad organizzarla!). Probabilmente la Dogana avellinese è stata anche tutto questo, ma oggi l’amiamo e la difendiamo, dobbiamo amarla e difenderla, perché coincide con la storia passata, anche se purtroppo non sempre gloriosa ed esaltante, della nostra città. La presenza della Dogana, fin dal 1007, all’incrocio di importanti strade che ivi confluivano, ospitando nella piazza antistante anche fiere e mercati, fece sì che Avellino divenisse nel tempo un centro di massima espressione di attività commerciale e di vita civile, che arrivò ad influire sulla determinazione dei prezzi correnti di mercato tanto che anche nelle zone circostanti del napoletano e del salernitano si faceva riferimento al "prezzo secondo la valuta che corre in Avellino". Completamente restaurata una prima volta nel 1674, dall’architetto Cosimo Fanzago, con i suoi decori, i suoi busti, le sue statue, i suoi stemmi e i suoi leoni in pietra, agli inizi del secolo scorso fu trasformata in cinema teatro. Danneggiata e restaurata dopo i tragici eventi della 2° guerra mondiale e del terremoto dell’80, nel dicembre del 1992 un violento incendio, ha distrutto il vecchio cinema risparmiando soltanto facciata. Oggi la Dogana di Avellino giace nel miserevole stato di abbandono che tutti conosciamo, (v. locandina) dal quale deve assolutamente essere recuperata e, come l’araba fenice che risorge dalle sue ceneri, ritornare ad essere uno dei più pregevoli monumenti della città, splendido fondale per chi arriva dalla Puglia di quella che fu una volta Piazza Centrale.

Persone, con particolare sensibilità culturale e con viscerale (non si intenda il termine in senso dispregiativo…anzi!) attaccamento alle proprie radici, con passione e dedizione più che encomiabili, stanno profondendo amorevoli sforzi per dare vita alla speranza. Che non muoia questa speranza!

                                                                                                                          Paolo Giovannetti

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