Profumi di salumerie, profumi di cucine

 

di Pino Bartoli

 

La salumeria di don Angelo stava ‘ncoppa ‘o Carmine sotto ‘o palazzo ‘ro vescovo, nei locali che fino a poco tempo fa erano occupati dalla Merceria Papa. Era la classica salumeria avellinese  dove la maggior parte dei clienti – e la mia famiglia era tra questi – comprava con il libretto, quello ra crerenza. La cosa funzionava così. All’inizio del rapporto negoziale si andava in salumeria con due quadernetti, di quelli a quadretti con la copertina nera e il bordo delle pagine dipinto di rosso.  L’importo della spesa, giorno per giorno, veniva segnato sui due libretti; uno restava al salumiere e l’altro veniva consegnato al cliente. Alla fine del mese, ognuno dei due, separatamente, tirava le somme, si controllavano i risultati in contraddittorio e si saldavano i conti.

D’estate, libero dalla scuola, accompagnavo mia nonna al mercato specialmente quando serviva aiuto per portare una spesa diventata più pesante perché comprendeva acquisti straordinari di prodotti che poi a casa sarebbero stati trattati per diventare sott’oli, sott’aceti, succhi di frutta, marmellata ecc.ecc.. Il premio per questa fatica lo raccoglievo da don Angelo e aveva la forma, il profumo e la fragranza di un panino con la mortadella. Era ‘na cosa che mi faceva (e mi fa ancora)  morire, un sapore…. Nel locale c’era un profumo, che poi era lo stesso che ritrovavi in quasi tutte le salumerie di Avellino, generato dall’unione dei profumi di tutti i prodotti in vendita  perché quasi tutto, allora,  si vendeva, per la mancanza di frigoriferi,  fresco e sfuso,  anche l’olio e la pasta che faceva bella mostra in contenitori di legno che si aprivano a ribalta, con lo spioncino di vetro per individuarne facilmente il tipo.

Guardando il livello della pasta attraverso il vetro, si poteva capire quale giorno della settimana  fosse. Il mercoledì, giorno dedicato alla pasta e fagioli il mischio (preparato direttamente dal salumiere unendo i rottami delle varie filature che restavano sul fondo dei rispettivi contenitori quando si svuotavano) diminuiva a vista d’occhio, il sabato invece, specialmente d’inverno, quello che andava forte era ‘o spaccato ‘e zito  che non è ‘o zito spaccato  come usano confondere i pratici e gli approssimati. Era una pasta difettata che si ricavava raddrizzando (prima che l’asciugatura completa lo rendesse rigido e fragile) la parte di zito che si curvava sulla canna dell’essicazione e che, asciugando più velocemente nella parte esposta e meno in quella  a contatto con la canna si spaccava di lungo. Oggi non si trova più perché i pastifici hanno cambiato le procedure di produzione e l’essiccazione non avviene all’aperto ma uniformemente in locali predisposti.

Qualcuno ancora li produce, ma vengono considerati rottami, buoni solo per preparare mangime per cani e li confeziona, in maniera discutibile, in sacche di 20 ÷ 30 Kg. Era comunque la pasta ideale per ricevere il sugo fatto ca pepaina acito  perché la forma ondulata si legava perfettamente con un condimento preparato facendo cuocere, a fuoco lento, in olio appena insaporito dall’aglio e da pezzi di pepaina sotto aceto bella callosa con l’aggiunta di un mestolo d’acqua e  qualche salsiccia preparata a punta e cortiello.  Un piatto squisito, forse tra i più grandi della grande cucina avellinese, bello anche da vedere, con quel colore ambrato dovuto all’olio e al grasso ceduto dalla salciccia, punteggiato dal rosso cupo della pepaina che doveva ammorbidirsi senza disintegrarsi.

La forma ondulata tratteneva un condimento scivulariello per via dell’aggiunta dell’acqua che durante la cottura comunque si era ridotta e, d’altra parte, la trafila spessa dello zito assicurava un supporto adeguato  ad un sugo pesante assai. La salsiccia, ovviamente, serviva da secondo.  Oggi caro don Angelo, come ben sapete,  in mancanza di spaccati e zito usiamo  le reginelle, quel tipo di pasta che in Italia chiamano Mafalda o, peggio ancora, tagliatella riccia. L’aspetto del piatto è quasi simile, il condimento è trattenuto quasi alla stessa maniera e se stai attento alla marca puoi anche trovare una reginella di trafila più robusta. Per questo motivo il sabato d’inverno a casa non mangiamo più spaccati e zito ma reginelle ca pepeina acito.

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