IMPICCAGIONE A PORTA PUGLIA

L’eroica morte di LIBERO SERAFINI

 

di

 

Gerardo Pescatore

 

     La nascita della Repubblica Partenopea, proclamata dai patrioti repubblicani il 22 gennaio 1799 dopo la fuga del re Ferdinando di Borbone, non suscitò l’entusiasmo dei popolani, i cosiddetti “lazzari”, i quali,  ad onta della secolare schiavitù e della miseria, giunsero addirittura ad appoggiare la reazione borbonica e sanfedistica, guidata  dal  cardinale  Fabrizio  Ruffo.   Ben   presto    scoppiarono     disordini   che   provocarono  gravi incidenti,  in  cui  gli insorgenti popolari, sobillati dal clero e

 

 

 

dalla nobiltà più retriva, presero le armi in difesa della Chiesa e della monarchia borbonica contro il repubblicanesimo giacobino.

     Ad Avellino  il principe Giovanni Caracciolo cercò di barcamenarsi tra le due parti, ospitando nel palazzo il comandante dei repubblicani Ettore Carafa, venuto nei primi di febbraio ad Avellino per reprimere le sollevazioni antifrancesi,  ma  nello  stesso tempo  fornendo aiuti  al capitano borbonico Costantino De Filippis, che sosteneva  l’antico  regime. Tuttavia questo  comportamento  contraddittorio, usato come espediente per evitare più gravi danni, non valse a preservare Avellino dai saccheggi e dagli eccidi da parte di entrambi i contendenti. Tra il 30 aprile e il 2 giugno  1799 Avellino dovette subire due sacchi dalle  truppe  della  Repubblica  francese  ed altrettanti sanfedisti

     La partenza dei Francesi da Avellino alla fine di aprile, richiamati verso Nola dalle notizie dei successi  in  Calabria  delle  truppe del  cardinale  Ruffo,  una masnada  ingorda di saccheggio in cui  imperversava  il  brigante Michele Pezza,  il famigerato

Fra Diavolo,  determinarono l’intensificarsi delle insorgenze filoborboniche, che tra il 25 e il 27 aprile conquistarono Avellino  e  i  paesi  vicini  costringendo  i  patrioti  ad  abbandonare  la  città  e  a  rifugiarsi nelle campagne.

     L’inizio di maggio segnò la controffensiva dei repubblicani, che riconquistarono  Avellino, mettendola  a  ferro e fuoco per 14 ore. Il terribile saccheggio dell’Ascensione (2-3 maggio) fu per l’alto numero di morti una delle pagine più tristi della nostra storia patria. Non fu risparmiata neppure la cattedrale, spogliata dei reliquari e di dodici statue d’argento.

     Subito dopo tra sanfedisti e patrioti si scatenò una lotta cruenta e feroce con terribili conseguenze per la popolazione civile, che subì morti, violenze e saccheggi per il prevalere ora dell’una ora dell’altra fazione. Intanto, sottomesse la Calabria e la Puglia spargendo dovunque orrore e morte, le truppe sanfediste, al comando del generale Vito Nunziante, il 10 giugno per la Serra di Montefusco entrarono in Avellino, dove il cardinale Ruffo pernottò. Alto risultò il tributo di vittime pagato dagli avellinesi. Il compianto prof. Giovanni Pionati, acuto intellettuale ed appassionato studioso di storia avellinese, recentemente scomparso,  consultando i libri parrocchiali di Maria SS di Costantinopoli, della SS. Trinità e del Duomo, in cui furono registrati i morti tra gennaio e giugno 1799, parla di 50 morti a causa delle varie sommosse, dei quali ben 37 nella giornata del 3 maggio.

 

     Ad Avellino, lacerata dall’odio e dalle vendette, ebbe luogo un episodio, emblematico del coraggio col quale molti repubblicani seppero affrontare la morte. Un atto di eroismo avvenuto nella nostra città, anche se il protagonista non fu un avellinese,   narrato   dal  politico   e  storico    Giustino Fortunato  nell’opuscolo

 

 

 

“ I napoletani del 1799” con grande ammirazione per l’audace protagonista. Mentre la folla prorompeva in urla di gioia per l’ingresso del card. Ruffo ad Avellino, improvvisamente un uomo alzò forte un grido di sfida: Viva la repubblica, morano i tiranni”. A questa voce si sollevò un fremito d’orrore e d’indignazione. Subito catturato e interrogato chi mai fosse quel temerario giacobino, ebbe a sbalordire tutti i presenti rispondendo coraggiosamente:”Io sono il Presidente della Municipalità d’Agnone in provincia d’Abruzzo: mi chiamo notar Libero Serafini”. La folla gli si strinse intorno minacciosa, sicura di atterrirlo, e chiese:” Chi viva?”, ma egli, senza farsi intimorire dal vedersi circondato dalla folla inferocita e dalle truppe reali, esclamò:”Viva la Repubblica Francese e Napoletana”. All’annunzio della marcia vittoriosa delle orde del card. Ruffo, il sindaco molisano aveva lasciato il suo paese per dare una mano ai repubblicani.

     Condotto davanti al cardinale, con pacatezza d’animo ripetè le stesse risposte né si lasciò convincere dallo stesso Ruffo a pronunziare:”Viva il Re” pur con la promessa che avrebbe avuta salva la vita.  No -rispose- ho giurato fedeltà alla Repubblica Napoletana e Francese, e quindi non posso, né devo più retrocedere dal prestato giuramento. Non temo la vostra sentenza”. Non volle piegarsi alla discolpa neppure quando fu consegnato ai ministri della Giustizia, che accompagnavano l’armata, per essere giudicato. Fu condannato a morte il giorno seguente, 11 giugno 1799 e, mentre ancora inneggiava alla libertà, fu appeso alla forca fuori  porta  Puglia, la porta monumentale fatta erigere nel 1610 da Marino II Caracciolo, terzo principe di Avellino, che, insieme a porta Napoli, segnava i confini della città.

    Assisteva al triste spettacolo una folla ubriaca e plaudente, la quale inveì lanciando strali e ingiurie contro la povera vittima dopo che fu lasciata più ore penzoloni alla forca con le mani legate dietro la schiena e con il viso orribilmente contorto. L’unico a mostrare pietà per il condannato fu il parroco di Costantinopoli, che, come ha scritto nel “Crocifisso dei condannati”Andrea Massaro, ricercatore rigoroso  di storia locale, gli recò  i conforti della  religione. Il cadavere,  gettato nell'ignobile fossa comune,  solo  più tardi  fu  sepolto nella vicina chiesa di Monserrato, come si legge

 

 

nel registro dei defunti compilato  dal parroco di Costantinopoli.

 

     Anche il letterato e patriota Paolo Emilio Imbriani,  colpito  dallo  straordinario coraggio  e   dalla tragica  fine  del  notaio molisano,  gli dedicò  un  sonetto

 

Immagine:Paoloimbriani.gif

 

dal titolo

LIBERO SERAFINI AVELLINO

che tratto a morte nel 1799 per ragion di stato,

non cessava di gridare: VIVA LA LIBERTA’

 

Suggello è il sangue! Una virtù secreta

Si travaglia in que’ petti e a generose

Prove gl’incalza che fan chiara e lieta

La fama  irpina di opere animose.

 

Dove il Sabato serpe e le fumose

Fucine avviva e nel Calor s’acqueta,

L’uom di plebe all’amor tutto pospose

Di Lei che le più oneste alme più asseta.

 

Fra le minacce de’ potenti e’ ferri

Sollevati in suo danno, audacemente

Saluta ei Libertà, cibo del forte.

 

Al vero grido s’abbujar gli sgherri:

Ma quel nome sul labbro all’innocente

Fel maggior d’ogni strazio e della morte.

 

(da “Versi” Stamperia del Tirreno, Napoli, 1863)

 

 

 

 

 

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