Maria

di Ruggiero Rizzitelli

Maria era proprio una bella ragazza. Alta, nera di capelli, occhi chiari attraversati da lampi, un corpo giovane e ben fatto. Andava bene a scuola. Frequentava il terzo magistrale e voleva diventare maestra. Era la prima dei cinque figli del maresciallo dei carabinieri a cavallo Saro Lombardo, siciliano, un gigante alto più di un metro e novanta, bellissimo, che lei adorava, e di Esterina Schiavo la più bella della Puntarola come la prendevano in giro le nipoti, figlie delle sue sorelle le quali evidentemente avevano riconosciuto e testimoniato questo primato.

Maria seguiva ed aiutava i fratelli a scuola e dava una mano alla madre a mandare avanti la grande casa che avevano in fitto a via Mancini 70. Erano spesso scontri fra le due. Due caratteri forti che spesso entravano in competizione, e solo il padre riusciva a volte, a farla cedere. ”Maria per favore basta” con gli stessi occhi suoi e un sorriso d’amore.

“Va buo’!” si arrendeva Maria e la madre con una certa gelosia: “La signora ci ha fatto la concessione”

Una domenica mattina, Maria era al bar Cammino che stava proprio a fianco al portone del palazzo di casa sua del quale la famiglia Cammino occupava il primo piano e la famiglia Lombardo il secondo. Maria era come una figlia per la signora Cammino e faceva il doposcuola al figlio di lei.

“Che t’aggia questo Marì?” le aveva chiesto la signora”.

” E che mi dovete dare, lo sapete che lo faccio con piacere. Vuol dire che ci facite a me e alla mia famiglia un caffè la domenica. Mia madre il caffè non u’ sape proprio fa’. Guardate però che simm’ assai.”

Si’ proprio ‘na brava figlia Marì, ma tua madre come lo deve fare bene il caffè con cinque diavoli da gestire e u’ maresciallo che sape sulo commannà

“ Non dite così, papà è buono e aiuta tutti”.

Quella mattina Maria osservava con desiderio le paste sul bancone, delizia che si era drasticamente proibita dal momento che si era accorta che era portata a ingrassare, quando senti dietro di lei “ Signorina posso offrirvi un caffè, un dolce?” Lei lo aveva visto entrare, elegante nel vestito della domenica. Era un bel giovane alto e magro, ma dall’aspetto vigoroso di chi lavora con le mani, che lei aveva spesso notato passare nei pressi, in tuta da lavoro con una matita a cavallo di un orecchio. Si voltò pronta a dire “No grazie devo scappare” quando i loro occhi si incontrarono e sembrò uno sguardo atteso da Maria, da sempre. Era lo stesso sguardo del padre, ma diceva altro.

Fu la signora Cammino a dire immediatamente: ”Certo che potete, proprio adesso Maria stava dicendo che va pazza per il nostro caffè”. Maria la fulminò con gli occhi, ma il sorriso di lui la rassicurò “ Sono Ruggiero, voi come ho sentito, vi chiamate Maria. Piacere Maria” Preso il caffè lui andò via salutandola con un leggero inchino del busto che la sciolse. Gli occhi di Maria tornarono ad essere furibondi verso la signora ma quella scoppiò a ridere e risero insieme. ”Chi è, lo conoscete? E un operaio della segheria qua vicino mi pare”

“No Marì, non è un operaio, è u’ padrone, e come ti guardava!”

Non le dispiacque che fosse il padrone ma subito si schernì : ”Si, e proprio a me aveva guardà. E poi è troppo grande pe me. Terrà quasi trent’anni.”

Maria uscì e inciampò nella soglia.

Qualche giorno dopo, mentre Maria usciva di casa per andare a scuola la signora Cammino la fermò e le disse” Marì è tornato e ha chiesto di te.”

“E voi ditegli che vado a scuola e che tengo che fare”

“Non fa ‘a scema Marì, quillo è ‘no bello partito e si vede che è una persona seria. Già ti vedo com’ a ‘na signora!”

“Si ‘a signora da segheria ‘i via Campane”. *

Era sveglia Maria, e risero tutte e due.

La domenica seguente Maria era ancora al bar e lui ancora entrò. Stessa ora. Era accompagnato questa volta da una signora un po' più grande di lui, molto pallida e dalla stessa dolcezza di aspetto.

”Buongiorno signorina, vi presento mia sorella. Si chiama come voi Maria”

Maria salutò, sorrise e scappò via con una scusa.

Lo incontrò qualche giorno dopo verso le sette di sera. Ruggiero passava per caso sotto casa sua.

A Maria non dispiacque e gli disse che stava andando al Corso per vedere se trovava un bel bastone da regalare al padre.

Come un invito ad accompagnarla, ma lui le disse pronto “ E com’è, si compra una bastone quando si ha un amico falegname? Voi dovete solo dirmi quanto è alto vostro padre. Anzi, se volete, tornate su, fategli piegare il gomito a novanta gradi sulla vita e misurate l’altezza da terra. Mi raccomando però deve avere le scarpe.”

Maria si trovò a correre su per le scale a prendere le misure. Quando ridiscese lui ci provò.” Se volete venite alla segheria e scegliete il legno giusto”

“E che capisco di legno io? Mi fido di voi”

“E fate bene - sorrise lui- datemi un paio di giorni e domenica vi porto il bastone. Vuol dire che il caffè lo offrirete voi a me”

La domenica mattina, appuntamento alle 12, lui si presentò col bastone più bello che si era mai visto.

“E’ acero Marì, se mi permettete di chiamarvi così. L’ho fatto personalmente. Consegnatelo a vostro padre a nome mio e poi se volete andiamo insieme alla messa dell’una”.

Cominciò così e i due lessero nel cuore che dovevano stare insieme.

Dopo qualche mese Ruggiero le chiese di venire a casa sua a conoscere i genitori.

-E che vado in giro a conoscere genitori? Vieni prima tu da me e poi vengo io da te.

-Andiamo subito disse Ruggiero

-No devo prima avvisare

Ruggiero conquistò il maresciallo e Ester ma non fu la stessa cosa con la mamma di lui, donna Francesca, rispettata e ricca signora di Barletta che aveva avuto otto figli e sedici gravidanze.

Ed eccola, seduta impettita perfettamente pettinata, con qualche gioiello significativo. Dopo i primi saluti di presentazione chiese al figlio di uscire e fu sbrigativa.

“Maria so che devi fare l’ultimo anno per maestra ma non c’è bisogno. In famiglia puoi avere tutto quello che ti serve e Ruggiero ha bisogno di una moglie che stia in casa a crescere i bambini. Perché il padre è ormai anziano e lui deve guidare la ditta.”

Donna Francesca non aveva trovato il partito che si aspettava per il figlio, ma soprattutto aveva trovato la donna sbagliata per imporre la sua volontà.

“Guardate signora che io voglio fare la maestra da quando sono nata e vi assicuro che anche le maestre possono crescere i figli”. Fu odio a prima vista e le due combattenti erano feroci. Maria aveva dalla sua la giovinezza, ma donna Francesca aveva in pugno la famiglia da quando aveva ordinato il trasferimento da Barletta ad Avellino per sfuggire alle cannonate delle navi da guerra inglesi nella prima guerra mondiale.

E il capitale che era servito per aprire l’azienda era suo.

Fu Ruggiero a convincere Maria

“Marì noi ci dobbiamo sposare. Qua si parla di entrare in guerra e io voglio avere una famiglia prima che questo accada. Diventerai maestra Marì te lo prometto sul mio onore ma adesso dobbiamo sposarci”.

E Maria si trovò dal bancone della pasticceria Cammino all’altare in un batter di ciglia.

Si sposarono e fu un grande matrimonio.

Solo che Maria era felice ma inquieta. Avrebbe voluto una sua casa ma Ruggiero l’aveva convinta. La casa era grande e se scoppiava la guerra lui non voleva la preoccupazione di saperla sola in casa e doversi pure prendersi cura dei suoi genitori e della segheria. Doveva avere pazienza.

E l’Italia entrò in guerra. Tre dei fratelli partirono volontari. La legge prevedeva che se in una famiglia fossero partiti tre volontari il quarto e ogni altro sarebbero stati esonerati. Ruggiero era sposato e doveva portare avanti la segheria. Maria resta incinta per la prima volta e fa tornare il discorso sulla casa solo nostra.

“Marì sono partiti in tre e sono sotto le bombe per far restare qui me ad occuparmi della famiglia della falegnameria. Non c’è un minuto che io non mi senta il cuore pesante per questa cosa. Metà degli operai è al fronte e il lavoro è aumentato di tre volte e già quei pazzi del partito mi volevano mandare cinque operai loro. No, non ci possiamo spostare Marì, se non riesco a consegnare perdo il controllo di tutto.”

“ Ma tu ti stai ammazzando di lavoro, non lo vedi la faccia che tieni? Tu non sei sotto le bombe ma così ti uccidi da solo. Lavori pure di notte, secondo te non me ne accorgo?”.

“Non ti preoccupare, che mi deve succedere con te vicino e il bambino che deve arrivare. Spero sia una femmina , vera, comm’a te”.

Gli anni passavano e gli scontri con la suocera diventavano sempre più furibondi e lei invano tentava di nasconderli al marito per non dargli altre angosce.

La guerra finì e i fratelli tornarono tutti salvi.

Maria era felice. Aveva avuto ancora un altro bambino ed era incinta di sette mesi.

Proprio quella mattina Ruggiero abbracciando lei e i bambini, e con una mano sulla sua pancia le aveva detto che stava cercando casa e aveva disegnato già i mobili. ”Vedrai Marì, saranno più belli del bastone che feci a tuo padre. Appena nasce il bambino, qualche mese per organizzarci e ci trasferiamo amore mio. Ho già parlato con mio padre per sistemare ogni cosa”.

Il grido fu terribile, lancinante da spezzare cuore e ossa. Veniva dalla segheria. Maria si portò le mani al volto e restò paralizzata. Non era stato un incidente a un operaio, era stato un grido di donna, qualcuna che si era trovata in segheria per qualche motivo. Per anni non ricorderà quanto tempo passò. Poi entrò la ragazza che si occupava delle pulizie in casa. Era bianca come un cencio e le disse “Signò in segheria, andate, resto io con i bambini.

Ruggiero era morto. Un secondo, ed era morto.

Maria partorì il bambino in casa.

Pochi giorni dopo la suocera entrò nella sua stanza. Non lo aveva mai fatto prima, e le disse: “Devi stare tranquilla, ai bambini pensiamo noi. I mezzi non mancano. Tu puoi restare, penseremo anche a te, avrai lo spazio necessario, c’è bisogno di una donna giovane in casa”

Maria lesse così queste parole:” Ai bambini avrebbero pensato loro e lei avrebbe fatto la serva”.

Ruggiero portava avanti la segheria da ben oltre dieci anni. Provvedeva alle paghe degli operai, si occupava degli acquisti e dei pagamenti e maneggiava in libertà tutto il denaro che provvedeva ad assicurare in banca. Ma di suo non aveva assolutamente niente. Avrebbe potuto accantonare per sé tutto il denaro che voleva ma non lo aveva mai fatto.

Maria lo scoprì e ciononostante il giorno dopo prese i bambini e ritornò dalla sua famiglia.

“Manderò i miei fratelli a prendere quello di mio che è rimasto disse alla suocera che rispose: ”Maria, sappi che se vai via oggi, i bambini potranno venire qui quando vogliono ma per te questa casa è chiusa per sempre”. A casa sua Maria trova tutto l’amore per sé e per i bambini.

Sa che deve e vuole come solo lei sa volere, essere economicamente indipendente. Deve dare l’esame da privatista per l’abilitazione magistrale. Studia notte e giorno e l’anno dopo consegue il diploma con ottimi voti. Inizia subito ad avere supplenze ad Avellino. E’ vedova con tre figli a carico ed ha un ottimo punteggio nelle graduatorie. Il concorso a cattedra è la sua meta per conquistare la definitiva sicurezza del lavoro, ma non riesce a superarlo al primo tentativo un anno dopo. Troppo impegnativo e troppo poco tempo per studiare, ma sa che ce la farà.

Il tempo per studiare è comunque poco. La mattina la scuola il pomeriggio i bambini, può studiare solo la notte. Nella camera da letto ci sono due lettini per i bambini e il terzo dorme con lei. In genere quel posto è il premio per chi va prima a letto ma quando lei inizia a studiare con maggiore continuità per l’approssimarsi degli esami, con una candela accesa e leggendo a voce bassa come è sempre stata abituata a fare per meglio memorizzare, i due figli più grandi che vanno a scuola si rifugiano nella camera della sorella di lei, zia Checchina che come al solito li accoglie con amore. Il più piccolo no. Gli piace ascoltare la madre che legge. Il suo posto a letto è a pochi centimetri dalla scrivania su cui lei studia, e tante cose gli restano impresse.

-Dormi Ruggié se no domattina la nonna si arrabbia che non ti alzi.

Di dormire il bambino non ha nessuna voglia, e non ne voleva sapere di andare all’asilo.

-No, no, mi sveglio te lo prometto. Che cosa stai studiando?

-Sto studiando il metodo Montessori. Maria Montessori, si chiama come me, dice che con i bambini ci vuole dolcezza.

-E ha ragione, mi piace questa Montessori. E che altro?

-Jean-Jacques Rousseau. Dice che gli uomini nascono buoni e la società poi li guasta. Lo dice nell’Emile, ma la sua opera più importante è Du contract social, significa contratto sociale, è francese, vuol dire che tutti ci dobbiamo mettere d’accordo per far vincere il bene”

-Bello il francese, dimmi qualche altra parola.

-Dors mon amour

-Che significa?

- Significa dormi amore mi”

-E come si dice resta sveglio?

-Non si dice in Francia, là tutti i bambini dormono la notte

Maria era costretta a spegnere la candela tornare a letto e aspettare che il bambino si addormentasse per continuare a studiare.

E questo ogni notte. Alla fine si era abituata a ripetere anche di giorno le cose al bambino che qualche volta la correggeva dicendole che la volta prima non aveva detto così.

Ormai Ruggiero era pronto a superare il concorso, ma anche Maria. E lo superò brillantemente.

Era al settimo cielo ma una brutta sorpresa l’aspettava.

Come prima sede ebbe Greci un paesino di poco più di 500 anime ai confini dell’Irpinia.

Per raggiungerlo doveva partire alle quattro di mattina da Avellino arrivare ad Ariano, attendere la coincidenza per Savignano e là prendere quella per Greci; sempre in ritardo e pure rimproverata.

Al ritorno stessa passeggiata con ritorno ad Avelliino alle nove di sera, giusto il tempo per mangiare con i piccoli e correre a dormire per rialzarsi alle tre e mezzo e correre trafelata di notte a prendere la corriera per Ariano.

Questo quando non nevicava. Qualche volta era rimasta bloccata a dormire a Greci presso una signora che le fittava una stanza.

Non poteva farcela. Decise di fermarsi a Greci tutta la settimana e rientrare il sabato cercando di anticipare con qualche permesso.

Le sue giornate erano tristissime Non c’era modo di comunicare con i figli e quando una settimana restò bloccata dalla neve fu presa dalla disperazione che in lei si trasformò in furia di guerra.

Dichiarò di sentirsi male, e male stava, e la mattina successiva era al Provveditorato ad Avellino.

Aveva preso i tre figli e li aveva portati con sé.

Non si era disegnato sul viso i segni di guerra come gli indiani che nei film di allora erano tutti cattivi, ma era di certo più bellicosa di loro.

Chiese di parlare col Provveditore ma l’usciere le disse che ci voleva un appuntamento. Maria lo fulminò con uno sguardo, si accese una sigaretta e gli disse di prendergli l’appuntamento, lei e i bambini sarebbero rimasti là. L’usciere capì che non si poteva discutere con quella e la fece entrare.

Il provveditore la accolse con cortesia e lei incominciò a raccontargli la situazione concludendo con: “ Io non posso farcela e non posso lasciare il lavoro, non sarebbe giusto, ma neppure è giusto che io debba continuare così”. Non voleva piangere davanti ai bambini e non lo fece.

Il provveditore non potette non cogliere lo stesso quelle lacrime e le disse di attendere un attimo.

Chiamò il segretario, confabularono qualche minuto e le disse.

“Signora lei è fortunata”. Rischiò la vita perchè Maria al sentirsi dire che lei era fortunata gli stava facendo lo scalpo.

Ma si trattenne.

II Provveditore la informò che intendeva distaccare una insegnante di Ariano in provveditorato per cui poteva dare la cattedra a lei in assegnazione provvisoria. A Greci sulla sua cattedra avrebbero potuto mandare una supplente di Savignano.

Poi aggiunse: “Tenga duro quest’anno perché dall’anno prossimo si libera una cattedra a Nusco e vedremo cosa possiamo fare.

Maria non poteva crederci, e si pentì di essere stata sul punto di cavargli gli occhi.

La mattina dopo Maria può alzarsi alle sette e raggiungere Ariano alle 8 e mezzo.

Era partita con la pioggia e trova in piazza ad Ariano uno splendido sole.

Scoppia in un pianto irrefrenabile, poi si asciuga gli occhi e va a prendersi un caffè nel bar dove la proprietaria la conosceva da quando nel locale lei aspettava la coincidenza per Savignano. Conosceva pure la sua storia e le si era affezionata. Maria mentre aspetta che il caffè le venga fatto e osserva con desiderio le paste sul bancone, sente una voce dietro di lei. Si volta di scatto ma non c’è nessuno. E’ certa tuttavia di aver percepito una immagine che si era dissolta in un attimo.

E’ turbata e sta per uscire.

“Sto diventando pazza” si dice.

Arrivata sulla soglia inciampa e capisce tutto.

Non se ne era mai andato, e ora era venuto a dirle: ” Ce l’hai fatta, puoi continuare da sola”.

*NOTA

Maria fa un malizioso gioco di parole fra il termine segheria e via Campane, indirizzo della segheria, ma anche notoriamente all’epoca, strada dove erano ubicati i postriboli avellinesi.