QUANDO I RACCONTI DI GUERRA NON VENGONO NARRATI DAGLI STORICI.
Ruggiero Rizzitelli

 

Via Campane è una strada di Avellino parallela a via Mancini, che sbocca su via Circumvallazione. Sul capo opposto della strada che immetteva sul vecchio campo sportivo, ora sede del Tribunale, sorgeva la grande segheria di mio nonno Matteo Rizzitelli. Quando io andavo a trovare i nonni la cui casa, molto grande pure questa, era nella stessa azienda, rammento che ero il pupillo di una ventina di operai che ricordavano mio padre e che mi raccontavano che in passato erano stati molti di più. Il vecchio nonno aveva da tempo lasciato la conduzione dell'azienda a mio padre che era il primo di otto figli.

I fratelli maschi studiavano e mio padre era di fatto operaio e padrone.

Pare proprio che se la passassero bene.

Mio padre venne improvvisamente a mancare

Di lì a pochi anni, alla morte di mio nonno, la segheria avrebbe chiuso i battenti e su quella vasta superficie sarebbero sorti un paio di palazzi. Noi tre figli avemmo in eredità un appartamento dove vissi dai 12 anni fino a quando lasciai Avellino.

Ora dovete sapere che via Campane era soprattutto nei ricordi degli avellinesi la strada dove sorgevano i bordelli.

Erano presenti sul proseguimento della segheria, fino a via Circumvallazione varie casupole all'interno delle quali le signorine esercitavano.

Pare proprio che via Campane, con via Partenio e via Terminio fosse conosciuta come il triangolo dell'amore. Una specie di Pigalle insomma.

Quando io come detto verso i dodici anni vi andai ad abitare, tutte le case in questione erano state chiuse.

Ne resisteva una sola.

Come l'ultimo dei giapponesi, continuava ad esercitare una signora ormai anziana conosciuta come la Padovana.

Mitica ultima puttana.

Il suo aspetto era veramente inquietante.

Disfatto è il termine che mi viene e non mi piace continuare in descrizioni.

Eppure fuori la sua porta si formava una fila di persone. Un po' come fuori dai negozi al tempo delle restrizioni per il covid.

Mia madre mi raccomandava sempre di non passare di là.

Incominciai a rendermi conto quando passavo davanti quella porta di mattino, che la signora quasi sempre seduta sulla soglia, mi sorrideva e dava l'impressione di volermi parlare.

Io scappavo a testa bassa.

Avevo ormai più di 18 anni quando lei, un giorno si decise e mi fece segno di avvicinarmi.

Feci finta di nulla ma lei mi chiamò.

"Ruggiero devo dirvi una cosa fermatevi"

Non me la sentii di scappare via.

Ero ormai grande e lei sembrava avesse veramente motivo di avermi chiamato.

"Conoscete il mio nome?" le chiesi.

" Certo, voi siete il figlio più piccolo di don Ruggiero Rizzitelli e portate il suo nome".

E continuò:" Ormai penso che fra poco chiuderò questa casa e volevo raccontarvi di vostro padre prima di andarmene"

Troppo rassicurato da questo approccio non ero, ma di mio padre ho sempre avuto pochissime notizie e non potevo rinunciare.

"Entrate, accomodatevi" mi fece con cortesia.

Quando fui seduto iniziò il racconto.

"Dovete sapere che vostro padre è stato un grande benefattore. Non con me intendo, ma con tutta la strada. Durante la guerra e soprattutto quando finì c'era davvero poco da mangiare. Brutti tempi, fame e borsa nera. Noi in qualche modo con l'arrivo degli americani, dopo le bombe che ci avevano buttato ce la cavavamo bene, si lavorava insomma. Ma il quartiere no. C'era la fame.

Vostro padre ogni quasi ogni mattina mandava gli operai a portare pane, pasta, patate, latte e tutto quello che poteva servire a sfamarci.

Nessuno se la dimentica questa cosa qua intorno. E poi voi gli assomigliate moltissimo. Volevo dirvelo prima di andar via".

Preso il caffè che mi aveva preparato la ringraziai e quando arrivai alla tenda di uscita mi fa: "Quando volete venire mi fate piacere"

"Grazie" non potevo non dirle ma il mascalzone che è in me, giustificato solo dalla giovanissima età mi fece dire:

"E mio padre è mai venuto a trovarvi?"

Allargò le braccia con gesto secco e repentino e guardando verso l'alto,

"Mai" rispose

A metà fra il giuramento e il rimpianto.

Mi pareva una bella storia e ho voluto raccontarla.