RICORDI DI UN RAGAZZINO AVELLINESE E IL GIOCO DEL PALLONE.

Di RUGGIERO RIZZITELLI

Mi piace qui ricordare perché per me il calcio è una cosa non seria, ma sacra.

Avellino, pieni anni cinquanta, era poco più di un buco, in fondo a una valle, con una ferrovia situata a dieci chilometri e strade di collegamento che praticamente facevano passare la voglia di entrare ed uscire dalla città.

Ci sarebbe da aspettarsi che in questa situazione ci si conoscesse tutti, che i ragazzi passero il loro tempo tutti assieme.

Ma non era così.

Noi tutti vivevamo per strada e per riportarmi a casa dovevano scendere i miei giovani zii spesso trovandomi piano di lividi per le mazzate prese, e a casa ricevevo il resto da mia nonna o da mia madre, a secondo di chi si trovava per prima; ma vivevamo per le strade sotto casa.Tanti quartieri non li conoscevamo neppure.

La stessa scuola elementare e media più che unire, divideva.Era circoscritta al quartiere e alimentava quel senso, quelle abitudini di isolamento che caratterizza tante città di provincia.

Una sola cosa riusciva a unirci: il pallone, il gioco del pallone.

Non parlo di quello giocato per strada che tanto educativo non era, anzi non lo era per niente, per tutta la violenza e le gerarchie di potere che lo caratterizzavano.

Parlo dei campionati che si organizzavano fra I quartieri, le regole e la fatica collaborativa necessaria per la loro riuscita.

Ed ecco che" 'Ncoppa 'u 'spitale " si organizzava l'evento che, unico, allargava la nostra cerchia di compagni, la nostra mente e il nostro animo.

C'erano insieme con noi di Via Mancini, quelli di via Roma, quelli della Trinita, quelli del Vescovado, quelli di ' ncoppa a Corea, quelli del Corso e dei Platani.

La casa di Gerardino Pescatore, recentemente scomparso era la sede dove si stilavano orari e regolamenti.

Si sentiva il bisogno di individuare arbitri che dessero il senso della legalità.

Manovre e tentativi di imbrogli erano inesistenti, estranei a tutti. Si voleva vincere per dimostrare a noi stessi e a tutti di essere stati i piu bravi

Non aveva senso cercare scorciatoie.

Un solo ricordo: I ragazzi del Vescovado erano bravi a giocare ma facevano davvero paura, a me ragazzino di prima media.

C'era fra di loro uno di stazza immensa, lo chiamavano 'U sciupatiello, giocava divinamente, più bravo di tutti in modo evidente, ma tutto sembrava tranne che affabile nel comportamento.

Il suo nome era Gianni Console e avrebbe di lì a una decina d'anni giocato in serie a col Lanerossi Vicenza.

La partita era Via Mancini- Vescovado.

Io ero troppo piccolo per giocare, ma seguivo la squadra dove giocava mio fratello più grande, Matteo.

Al principio del secondo tempo il nostro portiere si infortuna, e Gerardino Pescatore decise che dovevo entrare io. Spesso essendo più piccolo, mi toccava fare il portiere negli allenamenti.

A un certo punto, Gianni Console scarta ( così si diceva per driblare) tutta la squadra e si dirige verso di me. Io gli andai incontro e sapevo bene che non avrebbe tirato.Voleva scartare anche me ed entrare col pallone nella porta. Col coraggio della disperazione e non molto correttamente mi buttai sulle sue gambe per fermarlo e lui cadde su di me.

"Adesso mi uccide" pensai e mio fratello come al solito si stava precipitando per difendermi quando quello mi fa: " Certo che come portiere si' 'no cesso ma 'u curaggio u tieni".

Diventammo amici.

Non la porto più alla lunga.

Per noi ragazzini avellinesi il pallone fece quello che nessuna scuola aveva saputo fare.

Fece quello che dopo qualche anno avrebbero per l'intera città fatto l'apertura della autostrada per Napoli e della superstrada per Salerno.

Sport e lavori pubblici cardini della civiltà.

È per questo che quando succede che si briga, si imbroglia non solo per vincere una partita ma per indirizzare gaglioffamente l'intero esito di una nobile attività, io insorgo nauseato e grido: "Giù le mani dal pallone, io sono di Avellino"

Vorrei dire adesso qualcosa sul tifo che, per alcuni, è, molto più del potere, "meglio che..."

ma sarà per una prossima volta.

Non voglio contaminare i ricordi più belli.