E così qualcuno mi ha toccato leggermente sulla
spalla e mi ha detto: ”la Dogana sta andando giù e nessuno se ne frega. Dobbiamo
fare qualcosa.”
Io mi sono girato e ho guardato il mio interlocutore, una di quelle persone che
danno speranza al genere intero, e senza dubbio ho annuito a testimoniare il mio
contributo alla cosa. Nient’altro potrei fare se non scrivere.
Ho pensato immediatamente a quanta attenzione e interesse potesse davvero
suscitare tale notizia; si perché la reazione potrebbe essere non così scontata
conoscendo il popolo avellinese. La nostra città, da sempre lenta nelle prese di
coscienza, ancora con complessi di inferiorità rispetto alla propria sostanza,
in balia di un oligarchia di vecchie guardie che sembrano imparentati coi clan
d’immortali delle Highlands scozzesi, fermata di posta in un deserto di
speranze, dove non si resta ma si “passa”, un non-luogo per il quale sembra non
dover esserci mai possibilità d’amore; tutto ciò di fronte questo luogo in
questo incrocio, di questo centro-storico, oggi, schiaffeggiati dalla
possibilità della perdita, come per ogni cosa della vita umana, che richiama
all’azione, al rigurgito di rabbia verso l’ennesimo esproprio della storia. Di
fronte a banali e umilianti argomentazioni economiche, dell’assenza di
prospettive in questo gigantesco alibi della “crisi” che sembra aver svuotato
non solo le casse dell’economia mondiale ma anche le argomentazioni sentimentali
e le ragioni della memoria. E’ questo che non va giù, l’incapacità
all’interesse, al rispetto del passato e della storia dei luoghi che
c’accolgono; le condizioni attuali sicuramente complesse e difficili, noi non si
può rimanere inermi mentre lo spreco e la superficialità impera senza tregua e,
questa sì, senza conoscere alcuna “crisi”. Di fronte questo crocicchio prima
ancora che venuto fuori da un incontro di strade, un luogo di intreccio di vite
con i loro carichi di esperienze, di emozioni, di noi avellinesi, con questa
costruzione che sorvegliava e teneva in ordine il processo di sviluppo della
città tutta. Non credo una difesa egoista di un pezzo di qualcosa che appartiene
a pochi, qui si tratta di preservare qualcosa di tutti e, anche se chi vi scrive
non vive più (purtroppo, sottolineato con rabbia violenta) in questi
luoghi, ama come fosse la prima volta queste strade, queste case, le montagne e
il cielo, gli alberi e tutto quello che fa ci fa Irpini, con un orgoglio che è
solo sottaciuto ma non assente. Perché chi vi scrive ha pezzi di vita e ricordi
e speranze legate allo spazio intorno questo luogo. Non voglio che si apra un
vuoto lì davanti, non per l’assenza della Dogana. E leviamoci una volta tanto
con un po’ più che la solita indignazione da salotto, di quella tipica degli
oligarchi di cui sopra. E diamola ‘na bella spallata alla coscienza di quel
gregge dei nostri concittadini che oggi non sono con noi qui e che non se ne
interessano di questo ennesimo, mortale, disinteresse storico. Affinché un
giorno si rendano conto che Avellino non è una mangiatoia da esaurire e lasciare
lorda di indifferenza; la Dogana, e la battaglia per lei, è un’ottima occasione.
Non ci facciamo lavar via dalla solita onda di qualunquismo che prevede
interessi superiori in un mondo che, a seconda delle opportunità, rimodula la
scala di valori a propria convenienza. Alziamo la voce, facciamoci sentire
questa volta, ancora una volta.
Andrea De Gruttola x Salviamo la Dogana
Dedicato a Franco Festa, senza alcuna banalità.