Caro Pino Bartoli, cari amici di Avellinesi.it, in questo periodo di
bufale, ha assunto la dignità delle prime pagine dei giornali la
vicenda legata alla statua della “Spigolatrice di Sapri” e come al mio
solito, quando vengono toccate le corde sensibili del mio cuore, il mio
computer ha corso il rischio di essere infranto per la rabbia scaturita
da indegne letture nel merito. Mi sono trattenuto, e memore di una
vecchissima foto giacente nei miei cassetti, ho chiamato il mio caro amico Pino per
farmi aiutare a restaurarla. Tale foto del 1863 ritrae la mia bisnonna
Anna Falcone ( all’epoca aveva 16 anni) a Valle in visita al suo futuro
sposo Gennaro Capobianco.
Il caro Pino, prontamente, ha provveduto e la foto viene allegata a questa nota.
Ma che c’entra Anna Falcone, figlia di Nicola da Verzino con la spigolatrice di Sapri? C’entra!
Tranquilli non è la spigolatrice, meraviglioso personaggio
inventato
dal poeta Mercantini nel 1858 a seguito della spedizione
del 1857 organizzata da 24 giovani patrioti italiani, tra cui Carlo
Pisacane, Nicola Nicotera e Giovanni Battista Falcone, spedizione
ideata per indurre i
contadini meridionali, in nome della repubblica, alla ribellione
antiborbonica. Si incomincia ad intuire qualcosa: Giovanni Battista
Falcone di Acri, in famiglia chiamato “Battistino” era erede in Acri di
una delle
famiglie più influenti del regno del borbone, i Sanseverino-Falcone.
Ebbene il giovane Falcone che oggi a pieno titolo avrebbe potuto essere
indicato come il miglior partito del regno , invece di dedicarsi
a varie
attività, diciamo così, “ludiche”, abbandonati gli studi che lo
volevano prete, trasferitosi a Napoli, ebbe i primi contatti coi
mazziniani della Giovane Italia ed in ragione dei problemi con la
polizia borbonica fu costretto
a fuggire a Malta e poi a Genova da dove con Pisacane organizzò la
famosa missione, pensando di dare, in tal modo , pratica realizzazione
agli ideali risorgimentali. Qui non voglio addentrarmi in discussioni
che esulano dal mio fine, basta solo dire che se tale impresa avesse
avuto successo ci saremmo risparmiati Vittorio Emanuele II;
il mio fine è, invece, quello di evidenziare che tanti giovani hanno
creduto nell’Italia,
nell’unità d’Italia, nella repubblica ed in nome di tali ideali hanno
sacrificato la loro vita ben consapevoli di ciò che rischiavano e
purtroppo le cronache risorgimentali sono piene di processi, di morti,
di
incarcerati, di esiliati, di famiglie ridotte sul lastrico per far
fronte alle spese di difesa e sussistenza all’estero dei familiari.
Oggi che noi meridionali tanto ci lamentiamo della mancanza di una
classe dirigente adeguata, dovremmo incominciare a studiare il
fenomeno dal punto di vista storico e considerare che noi siamo anche
figli della“ scrematura” delle intelligenze determinata dalla cieca repressione borbonica e dalla emigrazione.
Tornando a “Battistino” egli durante la
missione, morì, pare suicida ed
abbracciato a Carlo Pisacane, per non sparare contro i contadini
aizzati dalle menzogne borboniche come evidenziato nella poesia del
Mercantini: “sceser con armi ma non ci fecer guerra”. Il suo corpo
fu bruciato e la sua famiglia, i cugini di Acri, ritennero il gesto di
Battistino un grave disonore e, mi dicono, che per vergogna
abbandonarono il paese. Oggi ad Acri, invece, risplende una bellissima
statua di
Giovanni Battista Falcone, lui si, che “con gli occhi azzurri ed i
capelli d’oro” aveva guardato lontano, forse troppo lontano. Dopo
questo sfogo che merita anche la retorica in cui certamente sono
incappato, ma al cuor non si comanda, per tornare alle stupide ed
incolte polemiche sulla statua della spigolatrice, ritengo che l’arte,
per definizione, deve essere libera e quando viene chiamata a
commemorare, a ricordare un evento, debba farsi carico di percepire e
trasmettere la memoria collettiva anche se critica. Non credo che
l’autodidatta (così si autodefinisce) scultore ci sia riuscito, anzi mi
sembra una
presa in giro. Forse un bella lastra di marmo con incisi i versi della
poesia del Mercantini che, molti di noi ancora sono in grado di
recitare a memoria, avrebbe sortito un risultato migliore.
Annina ed il “cugino di Acri, Battistino” non
si incontrarono mai, quando Battistino morì, a soli 23 anni, Annina
aveva solo 10 anni; nel 1867 Annina sposò a Valle Gennaro
Capobianco, ebbero 5 figli e tra essi il mio caro nonno
Ruggiero. Annina morì a Valle nella casa in via Pantano nel 1916.
P.S. Se il Sindaco Festa leggerà questa nota, vorrei ricordargli che
nel 2022 ricorrono i duecento anni dall’impiccagione dei” nostri
Morelli e Silvati” e come anticipatogli avrei delle idee da proporre.
Con affetto Ruggiero Capobianco