VILLA AMENDOLA E LA SUA CASA COLONICA

 

 

Villa Amendola opportunamente restaurata viene resa fruibile per eventi culturali il 6 marzo 2009.

Per noi "storici" abitanti del Rione Mazzini che confinavamo con questa villa unitamente a quella di Villa Barra erano solamente i luoghi di vita di due ricche famiglie della  borghesia avellinese.

Noi vivevamo stretti nel mezzo delle loro proprietà con la dignitosa povertà che caratterizzava la quotidianità di famiglie di ceto impiegatizio e operai.

Dal lato di Villa Amendola c’erano  meravigliosi alberi  di pino e  maestosi abeti a delimitare il confine, dall'altro, quello di villa Barra, c’era un muro tufaceo il cui limite era ricoperto di spuntoni di vetro per impedire a noi ragazzi di scavalcarlo per recuperare il pallone che si perdeva nei campi durante le nostre interminabili partite di calcio.

La vita nel Rione si svolgeva in questi confini e gli abitanti guardavano i proprietari e gli ospiti di queste ville con fiera indifferenza.

Accanto a queste ville c’erano delle case coloniche nelle quali vivevano i cosiddetti "parzonali", cioè quelli che svolgevano le operazioni di fatica nelle grandi tenute agricole che si estendevano per parecchi ettari.

Con le persone che lavoravano nella tenuta della famiglia Amendola,  noi abitanti del quartiere avevamo una relazionalità quasi giornaliera in quanto ci si recava nella loro casa colonica per acquistare prodotti agricoli, a seconda della stagionalità, ed in particolare per rifornirci ogni giorno di latte….. avevamo anticipato il principio mercantile "dal produttore al consumatore".

A volte ci si scambiava questa incombenza con altre famiglie per spirito solidaristico.

Di qualsiasi stagione il rituale era sempre lo stesso, vecchi, giovani e ragazzi, di ogni sesso, attendevano a questo incarico

Ogni mattina, prima di andare a scuola, e ogni pomeriggio, all'imbrunire, era una processione di persone che si portava da "Catarina ncampagna" per acquistare il latte appena munto.

Caterina era una bella signora di robusta di corporatura,  sempre attenta all’igiene dei suoi locali che con un cordiale sorriso assecondava le richieste dei suoi amici del rione.

Per recarsi da Caterina si percorreva uno stretto viottolo limitato da una fitta siepe di biancospini, la cosiddetta sopala, chissà quante persone conoscono, oggi, il significato di questo termine dialettale, e dal muro tufaceo, ricoperto di rovi, della tenuta Barra.

Dopo poche centinaia di metri si imboccava, sulla sinistra, il vialetto che portava alla sua casa colonica e bisognava tenere a bada i vari cagnolini che ci abbaiavano contro in modo innocuo……. forse perché avevano paura di noi estranei.

Era un percorso di 5/600 metri fra andata e ritorno ed era un continuo scambiarsi di saluti fra chi andava e ritornava oppure occasione per accompagnarsi e quindi dialogare e darsi consigli per il pranzo da preparare.

Mai un fatto di molestie che si possa ricordare, nessuno aveva paura di compiere questo percorso, anzi, specie di sera qualche coppietta univa, come suol dirsi, l’utile al dilettevole…….per scambiarsi qualche innocente abbraccio amoroso.

Ogni gesto che Caterina faceva per versare il latte, dal bidone dove era stato raccolto nelle bottiglie che portavamo, era mirato a non farne cadere sul tavolo dove era posizionato il bidone e quindi evitare sprechi.

Durante questa operazione la schiuma del latte versato nelle bottiglie rallentava la mescita perchè Caterina, meticolosamente  attendeva che la stessa finisse per completare il riempimento delle bottiglie fino all’orlo e questa operazione si ripeteva più volte in quanto la schiuma si riformava ad ogni aggiunta di latte.

Con il tempo questa abitudine di acquisti pian piano venne meno, qualcuno, purtroppo, cominciò a recarsi in auto: fu l’inizio della fine, il rione cominciava a non parlarsi, a non socializzare più.

Pezzo dopo pezzo la terra lavorata dalla famiglia di Caterina venne erosa dalla speculazione edilizia che avanzava spietatamente e la tristezza di quelle persone aumentava ad ogni limitazione del loro lavoro.

Resta indelebilmente nei miei ricordi il loro rammarico per quanto stava accadendo: lasciare la terra dove avevano lavorato per tanti anni.

Un poco alla volta se ne andava irrimediabilmente anche un pezzo della nostra vita nel rione.

Di questa casa colonica restano oggi solo i ruderi in attesa di essere rasi al suolo per una prossima lottizzazione residenziale.

Che strana coincidenza: quasi contemporaneamente la villa viene restaurata e ritorna alla vita,  la casa colonica viene annientata definitivamente e spietatamente tolta dalla memoria.

E’ la logica degli estremi…….chissà perché a vincere sono sempre i più forti!!!!

Per me e credo anche per tutti i “vecchi abitanti” del Rione Mazzini, Caterina e la sua famiglia restano nei nostri ricordi a testimonianza di una comune dignitosa povertà e di vita dedita al lavoro.

Pierino Mitrione

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