Avellino:  tra affondi di fioretti

e fendenti di spade

 

Andrea Massaro

 

Il duello, un rimedio sbrigativo molto in voga nel mondo della cavalleria dei tempi passati, è stato in piedi per moltissimi secoli attraverso rigidi rituali, osservati in special modo nel mondo della buona borghesia e degli uomini d’onore. Lo stesso ha avuto un seguito notevole durante gli anni vivaci della società ottocentesca, molto diffuso anche nei principali centri irpini. Per qualsiasi offesa o controversia da appianare o risolvere, si ricorreva al duello e la prima regola da osservare  per il prosieguo, era la nomina dei padrini, garanti e mallevadori di un corretto intervento per dirimere le più svariate contese.

Gli intellettuali ed i professionisti presenti nell’alta borghesia di Avellino dei secoli passati, ma anche quella dei primi decenni del Novecento, hanno dato piglio a questa pratica più volte per risolvere scabrose situazioni conflittuali, specialmente per quanto attiene il codice d’onore, mai scritto, ma ovunque e da chiunque ampiamente praticato. Alcuni uomini della casata Vetroni, potente famiglia del capoluogo irpino, versati nelle lettere, negli affari e nella politica tra Otto e Novecento, hanno impugnato sciabole e spade per motivi d'onore e di prestigio. Il giornalista Giacomo Carpentieri non si è sottratto a plateali sfide per sostenere particolari propri punti di vista. Altre volte il duello annunciato veniva evitato a causa di vari motivi, anche perché, lo stesso, venne sempre ostacolato dalla legge e praticarlo significava incappare nei rigori delle sanzioni previste dal  codice penale. Una sfida e un duello mancato interessò anche il Comandante dei Vigili Urbani di Avellino di oltre ottant’anni fa. A fregiarsi dei galloni di Comandante delle poche Guardie Municipali, nel 1926, sarà un giovane ex ufficiale dei bersaglieri, vincitore del concorso al posto di Tenente delle Guardie Urbane di quell'anno. Il Comandante Giuseppe Latorella, classe 1895, proveniva da Mugnano del Cardinale. Dopo aver conseguito la licenza liceale era stato arruolato  nell'Esercito Italiano con il grado di Tenente. A guerra ultimata venne congedato e, come innanzi detto, alcuni anni dopo si trovò a capo del manipolo dei vigili del capoluogo irpino. Un anno dopo l'assunzione il nostro Comandante salì agli onori della cronaca per un singolare episodio.

Dal quotidiano ”Il Mezzogiorno”, del 4 novembre 1927, apprendiamo che alcuni giorni prima il Centurione della Milizia Volontaria della Sicurezza Nazionale di Avellino, il Capitano Ettore Bizzari, addetto al comando della 144° Legione, di stanza nella Caserma San Francesco, di Piazza della Libertà, era stato apostrofato da Giuseppe Latorella con alcune frasi ritenute ingiuriose. Come previsto dal solito copione cavalleresco, il Centurione Bizzarri incaricò il Colonnello Luigi Capone ed il Commendatore Camillo Solimene, immediatamente nominati suoi padrini, a consegnare al Comandante dei Vigili Urbani il proprio cartello di sfida. I padrini rimasero alquanto sconcertati dal modo col quale furono accolti. Questa loro impressione fu chiarita in una lettera inviata al Bizzari il 22 ottobre 1927, a distanza di 24 ore dalla sfida. Questa stessa lettera suscitò vasta eco, anche perché l'Avvocato Camillo Solimene ed il Colonnello Capone la passarono all'organo ufficiale della Federazione di Avellino, ”L'Irpinia Fascista”, che la pubblicò nella sua integrità. I padrini ringraziavano Bizzarri per aver dato loro ”l'onore di rappresentarlo in una vertenza cavalleresca”. Più oltre i due prescelti affermavano di essersi ”recati a chiedere riparazione con le armi al sullodato uomo, ma dopo un certo ondeggiamento ci siamo sentiti dire che, come agente della forza pubblica, (il Latorella, n.d.A.) non poteva battersi”. In più, aveva aggiunto, avrebbe interessato il Procuratore del Re di Avellino e denunciato i padrini come istigatori al duello. ”Tutto questo groviglio”, diranno ancora i padrini, ”ci hanno riempiti di tristezza”.

Con questa sfida mancata scomparivano da Avellino gli ultimi sprazzi un'epoca, quella della Bella Epoque, già tramontata, comunque, sin dalla disfatta di Caporetto.

 

 

 

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