LETTERA  DEI GIORNI - ALLA DOGANA, LA MIA AMICA SEGRETA

                                                                                                                di Elena Torello
Cara Dogana,
quanta meraviglia e quanta tristezza nel rivederti dopo tutti questi anni!
Il nostro incontro, del tutto casuale, è stata una piacevole sorpresa! La tua immagine, seppure offesa dall’incombere inevitabile del trascorrere degli anni e dall’abbandono a cui ti hanno condannata  , riflette sempre la stessa luce di allora!
Sono stata contenta di averti ritrovata.

 Ti  ho mai raccontato, mia cara Dogana, che  al liceo ci sono arrivata solo grazie alla mia testarda incoscienza?  La professoressa di matematica delle medie con aria saccente e con altezzosa sicumera aveva ben spiegato a mia madre, all’ultima riunione scolastica, che non sarei stata in grado di intraprendere un “cotanto” percorso di studi:  “l’allieva non ha le capacità signora, la mandi piuttosto ad un avviamento professionale….chissà magari un domani troverà un’occupazione adatta a lei!”
Ahaa….si Dogana, mi viene da sorridere adesso.   Ci sono professori che si sentono in diritto e in autorità di emettere tali giudizi   (anche alla presenza dei diretti interessati!!). No, non credere che non sia credibile...si, si lo ha fatto davvero!
Quando a dodici o tredici anni, cara dogana,  senti dire da qualcuno, che invece dovrebbe essere un esempio, che “non hai le capacità” , cominci a pensare che forse ha ragione!
E mi chiedevo, “ma quali sono le grandezze d’intelletto che servono per andare al liceo?”. Non avendo saputo trovare risposta, come del resto ho poi fatto molte altre volte nella mia vita, mi sono lanciata e ci ho provato. E più pensavo a quel “non ha le capacità” e più avevo voglia di farcela!
Certo, riconosco che non è stato facile.
La  sveglia era di buon ora e non ti nascondo, mia cara Dogana, che tante volte ho dovuto correre con lo zaino pieno di libri che mi sbatteva sulle spalle per non perdere l’autobus! Un viaggio di circa un’ora per raggiungere la città: cento altri ragazzi erano pigiati nello stretto corridoio in movimento..e quando trovavo posto..che dormite!!!!!
 Da Piazza Macello noi ragazzi di paese risalivamo  il corso quasi come una corrente contraria in un fiume di macchine; il passo era veloce per non fare tardi.
E quanti docenti nuovi! Quante materie e quante lezioni! Ah! Il latino! La fisica! Ore e ore di italiano e perfino il tedesco!
Il primo anno è stato duro! E non ti dico, Dogana cara, che vergogna essere rimandata in latino!!! Ma gli esami a settembre li ho superati alla grande e ce l’ho fatta…il secondo anno è stato una volata!
Il terzo anno ti ho vista per la prima volta!  Venivo dalla provincia. Non ti conoscevo. Ti ho vista, nobile e fiera nell’abbandono in cui ti avevano lasciata, con l’obelisco che sembrava disperato perché non era riuscito a proteggerti, e subito ho capito che potevi essere la mia silenziosa amica.

 Erano gli anni dell’adolescenza…quanti pianti e quante “disperazioni disperate” che rapivano l’anima e i pensieri. Quanti dolori sembravano impossibili da sopportare! Ogni tanto venivo a parlare con te e tu mi sembravi attenta e comprensiva  .  Scusami, dogana, forse ti sto annoiando?
Sa, quando comincio a perdermi nei ricordi le strade diventano numerose ed estese e non le racconto delle traverse, dei sensi unici e degli incroci….il giorno in cui abbiamo fatto l’esame di Stato ……che ansia!!! …E che soddisfazione…poi, quando tutto sembrava finito, quando l’estate ci aspettava piena e rotonda come una mondina con il suo sorriso più bello e leggero.
Non lo sapevo in quegli anni, dolce Dogana, quanti esami ancora aspettavano di essere affrontati. A diciott’ anni la vita sembra così facile e tutte le cose belle sembra che debbano durare per sempre.
Invece le prove che bisogna affrontare sono davvero numerose ed impreviste, non programmabili….ora lo so.
Al primo esame all’Università, il docente mi mise in seria difficoltà con le sue domande puntigliose; la lingua era del tutto appiccicata al palato e il cuore mi sfondava il petto. Il 23 che sentii pronunciare alla fine  mi deluse tanto, ma il fatto di aver abbattuto il primo scoglio mi rincuorava…che vergogna però dirlo alla mamma che sperava in un trenta!!!!!
Come dimenticare l’esame di metodologia; il volto della professoressa sembrava inespressivo e contratto ma il mio si distese parecchio quando la sua mano cominciò a scrivere il voto…tr..e io pensavo ma che voto inizia con tr….TRENTA! CAVOLO!, ho preso trenta.
E la domanda del docente di storia contemporanea? “mi dia una definizione pregnante di totalitarismo”….trenta e lode!
L’esame di statistica? “questo dato si può ricavare solo in questa maniera?”, chiedeva il docente; “sicuramente no – le risposi – altrimenti non mi avrebbe fatto questa domanda”. Non conoscevo l’altra risposta…ma sono riuscita a passare l’esame al primo colpo. …con una sonora risata! Che faccia tosta!
All’Università sono stati ventiquattro gli esami e il giorno della Laurea non potrò mai scordare il senso di leggerezza che ho provato e la gioia nel sentir pronunciare quella frase: “con il potere conferitomi….dichiaro…dottore in Sociologia…con voti 110/110….”. che bello!
Come avrei voluto sventolare sotto il muso raggrinzito di quella vipera delle medie la mia pergamena di Laurea!  
Vedi, Dogana cara, quando parlo delle prove a cui la vita ci chiede di dare il meglio di noi stessi non mi riferisco agli esami all’Università, certamente difficili e spesso percepiti quasi come ostacoli insormontabili.
Quando mi sono laureata non immaginavo che avrei lasciato la mia terra; la mia gente e la mia famiglia.
Quanto è stato duro voltarmi a guardare le mie montagne, mentre l’autostrada mangiava con i chilometri tutto quello che ero stata e mi spingeva verso tutto quello che sarei diventata.
Il matrimonio, la casa, il marito, la ricerca disperata di un lavoro.
Ho passato due anni a lavorare in una fabbrica con la qualifica di “facchino”. Che rabbia quando il capo officina mi chiese di spazzare tutto il pavimento….e quante lacrime!
Ma l’orgoglio mi teneva lì, non importavano le parole di  mia madre che avvertiva di riflesso la ferita del disilluso; non importavano i discorsi di mio padre che puntavano sull’amor proprio ecc, ecc…io ero lì. Io dovevo farcela da sola.
Il giorno che ho ricevuto la notizia di aver vinto il concorso, sapendo che avrei dovuto lasciare quel lavoro con la stessa fierezza di una belva ferita, ho abbracciato forte il mio capo e l’ho ringraziato per i calli che mi aveva impresso nell’anima; le sue parole nel salutarmi mi toccarono il cuore: “sei entrata qui che eri una bambina e adesso te ne vai che sei una donna”.
Pensavo di essere cresciuta, mia Dogana adorata. Pensavo che ormai ero abbastanza forte per tutto.
Ma un pulcino spaurito sarebbe sembrato un leone rispetto a me, la prima notte che ho passato in caserma.
 Nuovo ambiente, nuove persone, nuove facce, nuovi esami e tutto questo in un “Nord” dove anche il colore del cielo sembra diverso.
Ma tutto è passato, Dogana mia. Ad oggi ripensandoci sembra che tutto sia volato sopra di me come un aeroplano muto che lascia solo una scia silenziosa di ricordi più o meno piacevoli in un cielo più o meno azzurro.
Quanti treni hanno dovuto portare da una parte all’altra dell’Italia le mie valigie ormai usurate.
Ora mi sono stabilita in questa città del Nord. Spero di non fare altri traslochi…almeno per qualche anno. Tra qualche giorno riceverò una grossa gratificazione per il lavoro….riceverò un encomio formale durante una pubblica cerimonia. Chi poteva pensarlo qualche anno fa?
Sono discretamente serena…ma spesso, quando le ore del giorno lasciano il posto a quelle più silenti e pesanti della sera….mi viene da sentire pesanti i battiti del mio cuore. Ho paura, Dogana cara e abbandonata, che anch’esso sia diventato un po’ nomade!!! Chissà dove mi porterà…
Ora ti lascio alla tua solitudine, cara Dogana. E scusami ancora per averti rubato questi minuti…Seneca scriveva che il “tempo è l’unica cosa che non si può restituire” perciò ti ringrazio per avermene concesso.
 Se fosse possibile, ti abbraccerei forte. Spero di rivederti presto, nello splendore che meriti. 

   

 

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