La “Dogana” di Avellino non è stata sempre la stessa cosa. Nei decenni si è trasformata in tante cose diverse : era una vera Dogana, poi è diventata sala cinematografica, dopo il terremoto un rudere, oggi un simbolo, secondo alcuni di degrado, secondo altri di attaccamento alle proprie radici e occasione di riscatto e rinascita. Io, come tutti quelli della mia generazione, ho vissuto tutte le fasi ad eccezione della prima. Con una particolare notazione personale che mi lega visceralmente ad essa. Mio padre, dopo esserne stato compagno d’armi, era fraterno amico di “don Ernani” Sarchiola, il proprietario della Dogana divenuta il mitico “Cinema Umberto”, un personaggio che ricordo con profondo affetto e tanta nostalgia per la sua generosità e il tratto signorile che lo ha sempre contraddistinto. Proprio in virtù di questa amicizia, io avevo libero accesso al Cinema, che frequentavo -da ragazzo- in modo maniacale. Abitando nel palazzo di famiglia dove sono nato, al civico 94 di Corso Umberto I -e cioè a non piu’ di cento metri dal Cinema- ci passavo praticamente tutti i pomeriggi d’estate e quelli invernali nei quali non dovevo studiare, fatta eccezione, ovviamente, per le poche proiezioni “vietate ai minori”. E’ lì, credo, che sono divenuto un “cinemaniaco”, incantato non solo dalle centinaia di film che ho visto, ma anche dall’atmosfera della sala di proiezione, con il grande tetto mobile che si apriva elettricamente, tra il primo e il secondo tempo, per far cambiare l’aria appesantita dai fumatori (all’epoca potevano agire indisturbati) o dal distributore di gomme americane che si trovava al lato sinistro della cassa. L’immagine del Cinema, della sala, di Don Ernani, fanno parte del mio mondo interiore che non posso condividere con nessuno. Ma, al tempo stesso, sono patrimonio collettivo perché simboli di una Dogana viva, attiva, che costituiva un centro di aggregazione non solo per il centro storico ma per tutta la città. E’ questo, insieme, che dobbiamo augurarci di poter vedere di nuovo. Anche attraverso il nostro impegno e contributo diretto.

                                                                                                         Francesco Pionati

 

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