“La storia di una
città è scritta, innanzitutto, nelle tracce visibili e “monumentali” del suo
passato remoto, anche nell’ultimo e glorioso capitello d’età romana, murato, per
caso e da secoli, come semplice elemento di sostegno, in una decrepita muraglia
che cinge oggi un giardino appassito per sempre, o in quello strano animale
rampante, di pietra, che sostiene, ignaro, l’angolo di una casetta, ormai
collabente, costruita qualche secolo dopo la sua nascita e collocata
originariamente nella facciata di qualche chiesetta romana ormai sparita nel
buio delle distruzioni
Mutano le città non solo per eventi, come si dice, di forza maggiore, ma anche
perché ogni generazione ha i suoi guastatori imperterriti, dalla Roma
medioevale, ad esempio, all’Urbe mussoliniana, che pur non è priva di pregi -
nel senso opposto delle più moderne impostazioni urbanistiche e della
“costruzione”- dall’Avellino distrutta, nel 1440, da Alfonso d’Aragona, all’
Avellino dei demolitori, schizofrenici e incontrollati dei nostri anni’30-’40, a
Piazza Libertà, fino alla scomparsa nel nulla, nell’immediato dopoguerra, del
celeberrimo “Puntillo”, porta antichissima di passaggio tra via Costantinopoli e
la collina dei Cappucini e, insieme, “ponte” di collegamento, nella parte
superiore, tra il Castello e la zona del Duomo e, ai nostri giorni, della
famosissima Villa Capozzi, già degli Imbimbo, punto d’incontro politico e
cenacolo letterario per oltre due secoli.
Già nel 1810 i francesi di Re Gioacchino c’avevano dato un esempio mirabile di
demolizione e volatilizzazione di monumenti famosi, quali erano le tanto
celebrate, ma pur sempre sconosciute, per noi, Porte della Città, quella per
Napoli, poco lontana da palazzo Solimene, e quella per “le Puglie”, quasi
all’altezza di Monserrato…….
Oggi resta il ricordo, l’immagine visiva, ad interpretare a colpo d’occhio la
realtà che ci circonda, e la sua “storia” più segreta e profonda, sul filo della
memoria delle generazioni che, mutando, si trasformano e scompaiono. In virtù e
per effetto dell’ inarrestabile fuga in avanti, propria dei nostri tempi, la
memoria cerca oggi appigli e conforto, nelle immagini del passato, come a
chiedersi se siamo ancora noi, se è ancora nostra -e per quanto- la terra che
calpestiamo, se sono ancora nostri i fiumi “imbevibili” che tuttavia scorrono
malinconicamente puri quasi come fogne per le nostre campagne ancora
inspiegabilmente verdi, nella speranza che tanti costosi impianti di depurazione
li salvino finalmente dalla morte definitiva, e noi con loro. Se è ancora nostra
questa città semi cancellata dagli “urbanisti” degli anni ’30-’40, semi sommersa
dal cemento della “ricostruzione” del dopoguerra, e, finalmente semidistrutta
nella sua parte più nobile e insieme più povera, l’autentico centro storico, tra
la Terra e San Leonardo, lunga la Via Regia – altro che Umberto I !!- che
portava in Puglia dall’ultimo dei nostri 100 e 100 – direbbe D’Annunzio-
terremoti dell’ultimo millennio. Nelle immagini del passato, l’Avellino
devastata e distrutta dagli uomini e dal terremoto risorge dalle macerie sulle
“mute vie” della storia recente e dolorosa e rinasce sotto i nostri occhi di
dolenti e nostalgici spettatori.” Giovanni Pionati – AVELLINO memorie e immagini
- 1988
Giovanni Pionati