Cari amici,
Credo che, oltre alle immagini, anche la memoria può e raccontare la vita di
una città.
Ove non ci sono immagini può certamente supplire la memoria che, anche se in
modo diverso, riesce a dare lo stesso risultato se non addirittura a
migliorarlo.
Ho notato, spero sbagliandomi, che da un po’ di tempo a questa parte è calato
l’interesse dei visitatori ad inviare ai gestori del sito materiale nuovo da
pubblicare, mentre il numero delle pagine viste è rimasto costante nel tempo
con notevoli picchi di visite.
Quindi c’è sempre più interesse per il sito che, però, non è più supportato
dall’entusiasmo e dalla collaborazione dei visitatori.
Per questo motivo desidero rivolgere un appello a coloro che visitano il sito
per invitarli a incrementare il flusso di materiale da pubblicare. Per meglio
chiarire il motino di questo intervento desidero parlare di un incontro fra
due amici che non si vedevano da circa trenta anni.
Nei giorni scorsi, in viaggio verso la Francia, ho fatto tappa a Chiavari ove
risiede e conduce con i suoi due figli un avviato ristorante - pizzeria un
vecchio avellinese doc: Claudio Mupo.
L’accoglienza è stata più che calorosa e, logicamente, abbiamo colto al volo
l’occasione dell’incontro per ricordare con chi e come, insieme ad altri
coetanei della nostra Via Mancini, vivevamo negli anni cinquanta. Fra una
buona pizza e un boccale di birra abbiamo rivissuto la nostra gioventù. Ci
siamo soffermati a ricordare i comuni amici e le altre persone che conoscevamo
e, logicamente, il discorso è poi scivolato sui contenuti del vostro sito che,
fra l’altro, Claudio non conosceva.
In quell’occasione ho sottolineato come per me visitare il vostro, pardon
!!!, il nostro sito è diventata un’abitudine da rispettare quasi fosse
una prescrizione del medico curante: tutte le sante sere, prima di cena
trascorro almeno una buona mezz’ora a sfogliarne le pagine cercando sempre
nuove emozioni.
Sembrerà retorica ma alla mia ricerca, purtroppo, mancano tanti luoghi e tanti
volti storici che sono rimasti impressi nei ricordi della mia gioventù,
vissuta in una città a formato d’uomo così come non lo è quella odierna.
L’appello:
come detto, ricordando insieme all’amico Claudio le persone e le cose dei
tempi passati, mi son reso conto che nelle pagine del sito mancano all’appello
tante foto o tanti aneddoti relativi a personaggi e luoghi storici della vita
avellinese fra cui:
·
Ciritiello
‘o giornalaio,
al secolo Ciro Luongo, titolare con la sua consorte Sig.a Clotilde, della
storica edicola di Piazza della Libertà (al centro dei giardini prima che la
Piazza fosse ristrutturata con le fontane). La sua principale caratteristica
era che egli, negli anni ’50, svolgeva anche il ruolo di strillone.
Nonostante alcuni problemi fisici che lo affliggevano e senza fare distinzioni
fra estate o inverno, pioggia o sole, con la sua coppola in testa e con
il borsone di pelle a tracolla pieno zeppo di giornali percorreva più volte il
Corso da Piazza della Libertà fino a via Verdi, elencando ad alta voce le
testate dei quotidiani con una cadenza tutta particolare che lo rendeva
gradevole all’ascolto.
·
Gli
splendidi Presepi monumentali che molte famiglie avellinesi e varie Chiese
parrocchiali della città possedevano e montavano in occasione del Natale:
tutti erano di pregevole fattura napoletana con i classici pastori alti 30 –
40 centimetri, finemente vestiti (ricordo e rimpiango, in particolare, quello
della Chiesa di San Francesco Saverio) che occupavano una superficie di
qualche decina di metri quadri. A questi faceva da contraltare il mercato
delle anguille e dei capitoni vivi che, intorno al 10 - 15 dicembre di ogni
anno, arrivavano direttamente dal delta del Po a bordo di grossi camion con
rimorchio in enormi tini di legno traboccanti di schiuma viscida che sostavano
in Piazza della Libertà prima e in Piazza Kennedy poi fino alla Befana.
·
Fra i locali
pubblici il caffè Lanzara con i suoi splendidi interni e i tavolini sul
Corso ove, fra i tantissimi personaggi che lo frequentavano, poteva capitava
di incontrare, in piena calura estiva, Aurelio Fierro. Il noto cantante,
originario di Montella, sempre elegante con i suoi abiti di lino, la paglietta
e il bastone di bambù. Ancora mi mancano i gelati del bar Diana ove,
per gustarne uno, si faceva a gomitate con gli altri avventori per abbreviare
le lunghissime file e poi ancora per dirne alcuni il Bar Americano, il Caffè
Roma ecc.
·
Adesso,
purtroppo, mi mancano anche le amichevoli ma tremende pacche sulle spalle che
era solito elargirmi a mò di saluto il povero Don Michele Grella ogni
qualvolta che, tornando in Avellino, passavo a salutarlo.
·
Mi mancano
ancora le scorribande che facevo con gli amichetti per i vicoli della
Trinità, della Beneventana e di Vicolo Conservatorio fino a sconvolgere la
zona di ‘ngoppa ‘o muollo, che da queste strade era delimitata.
Scorribande che finivano poi in Piazza Solimene ove ammiravamo, incantati, la
maestria della venditrice di ceci cotti nel dosare, da un enorme pentolone
fumante posto su di un grosso fornello a legna, le quantità di ceci che i
clienti andavano ad acquistare.
·
E poi i
personaggi e i locali della “mia” via Mancini degli anni cinquanta con i
fratelli Serino, che erano soliti stendere ad asciugare al sole estivo
lungo il marciapiede le nocciole appena raccolte; il barbiere Cincotti
con i suoi profumatissimi calendari; la trattoria di Totono ‘o
pizzaiuolo (al secolo Antonio Mupo, papà di Claudio di cui sopra); il
ristorante La Corona di Ferro della famiglia Picariello; la pasticceria
di Don Gerardo Cammino con tutte le delizie che produceva; il cortile
fra il retro della Caserma Litto e il Cinema Giordano, luogo d’interminabili
giochi con gli amici; i vari “pannazzari” usi a partire, con i loro
rombanti furgoni, per i mercatini della Provincia intorno alle 4 - 5 delle
domeniche mattino (abitudine comune questa anche ai cacciatori che avevano
sempre un amico chiassoso che passava all’alba delle domeniche a prelevarli
con l’auto piena di cani ancora più chiassosi dei legittimi padroni); la
salumeria Morena all’angolo di via Verdi con i suoi ghiotti butirri
dell’alta Irpinia ed in ultimo, ma non ultimo della lista, don Nicola
Ciampitti, sempre circondato dalla sua numerosa prole tutta al femminile:
e fu grande la festa quando, finalmente, nacque il suo figlio maschio. E poi
ancora il tabaccaio Grammatico, la cartoleria-tipografia della famiglia
Grappone, l’Hotel Giordano che rivaleggiava con l’albergo della
famiglia Trombetta (uno dei figlioli del titolare ebbe la ventura di
trovarsi a bordo dell’Andrea Doria quando il 25 Luglio del 1956 il
transatlantico, in viaggio verso New York, affondò), e tanti altri personaggi
ancora.
·
Nel mondo dello
sport in primis il vero, unico Torneo degli Uffici che si svolgeva, con
squadre composte da giocatori di una certa età e con una stazza di tutto
rispetto, nei giorni feriali e in piena calura estiva sul polveroso terreno di
Piazza d’Armi. Le partite erano rigorosamente e diabolicamente programmate
nelle ore canonicamente dedicate alla digestione e alla siesta (inizio alle
15,30 – 16,00) mentre sacrosanto era il periodo di svolgimento del Torneo: nei
mesi di Luglio e Agosto tanto che gli spettatori più interessati agli
incontri, che si svolgevano sempre con molti risvolti comici erano i detenuti
del Carcere Borbonico; poi ancora un ricordo di Celestino Genovese,
Pasquale Amendola, Costantino Pepe, il Cancelliere Antonio Cioffi e l’avv.
Carpenito. E che dire poi della ricevitoria Totocalcio con annessa sala
giochi di Don Ernesto al Corso (di fronte alla Farmacia Tulimiero) ove,
relegato in un angoletto dentro al box della ricevitoria, il buon Pinuccio
Adamo si dannava l’animo per sviluppare al meglio i sistemi che i
clienti gli lasciavano da elaborare in formato ridotto.
·
La simpatia e
l’amicizia dei Sindaci Michelangelo Nicoletti e Angelo Scalpati (che fu anche
direttore del Corriere dell’Irpinia), nonché degli amici Nacchettino Aurigemma,
Pippo de Jorio, Peppino Pisano, Bruno Petretta, Fausto Grimaldi, Enrico de
Magistris, Erennio Mallardo tutti frequentatori di quel Circolo della Stampa
che negli ultimi anni ’50 ed i primi anni ’60 con le sue sale frequentate
anche dagli uomini politici irpini divenne incubatrice della politica
cittadina e nazionale.
·
E che dire poi
dei “cuparielli avellinesi” (le polverose stradine di campagna che
circondavano la città e che erano la meta delle coppiette avellinesi in cerca
di tranquillità) magistralmente descritti da un settimanale nazionale?
·
Altrettanto mi
mancano, ed in modo inspiegabile, le migliaia d’immagini di persone, fatti e
luoghi che gli impareggiabili fotografi Barzaghi (di cui purtroppo non
ricordo il nome di battesimo) e Angelo Velle hanno scattato nel corso
della loro lunga carriera e di cui conservavano gelosamente i negativi in
ordinati archivi. E se a queste aggiungiamo anche quelle di Peppino di Nardo,
potremmo veramente ricostruire la storia di Avellino giorno per giorno almeno
dall’immediato dopoguerra sino a pochissimi anni fa.
Ritengo che è bello rivivere i tempi passati perché sono la nostra storia, la
storia delle nostre famiglie, di una bella città, di quando eravamo
sicuramente più poveri in canna, ma avevamo la consapevolezza che potevamo
essere felici con un niente tanto che ci divertivamo anche solo con una
pallina di vetro o con poche figurine dei calciatori;
che non avevamo l’ossessione di possedere il telefonino all’ultima moda: ci
bastava quello fatto con i secchielli del gelato ed un filo di cotone;
che non dovevamo andare a tutti i costi in vacanza alle Seychelles: ci bastava
la mitica Mappatella Beach dalle parti di Mercatello;
che non dovevamo andare tutte le domeniche al ristorante: ci bastava,
qualche volta, la scampagnata fra i castagni di Montevergine o sul Terminio
con un panino farcito con la frittata.
Ecco che il gioco è fatto: ci voleva un niente per essere felici.
Erano gli anni più belli del secolo scorso: uscivamo dalla guerra e stavamo
entrando nell’era del boom economico.
Però molti di noi avranno in casa, in cantina, in soffitta, in un antico album
o in una vecchia e polverosa scatola di scarpe alcune foto di questi periodi,
di queste facce e di tante altre ancora.
E se solo a me ne mancano tante pensate un po’ quante altre ne mancano se
ognuno di voi fa la stessa indagine mia.
E allora forza, perché non tirarle fuori, spolverarle e mostrarle a tutti per
far vedere come eravamo e come vivevamo?
Sicuramente metterle a disposizione del sito sarà gratificante per chi lo farà
così come sarà piacevole per tutti gli altri poterle rivedere.
In caso contrario dovremo accontentarci solo della memoria con tutti i suoi
cassettini che andiamo ad aprire ogni volta che scaviamo nel passato.
Enzo Genovino