La mia casa di Parma. Da 10 anni, da quando vivo in questa città, sulla parete di fronte all’ingresso mi aspetta un disegno a china di zio Gino. Con il tocco preciso da tecnico e con la naturale abilità artistica di una parte della mia famiglia la penna ha delineato una vecchia immagine della Piazza Centrale. Palazzo Balestrieri con bene in vista sul balcone al primo piano la scritta “Spagnuolo sarto”; al centro, in secondo piano, dove oggi c’è il vuoto della discesa di Santa Rita, l’albergo dei fiori; in primo piano una carrozzella con un cocchiere un po’ troppo alto rispetto al cavallo. Ma il soggetto principale è lui, il Palazzo della Dogana con il Re di Bronzo ritto davanti quasi nel tentativo di difenderlo dalla scelleratezza che, anni dopo, avrebbe portato gli uomini a ridurlo nello stato di oggi, così simile a quello che già aveva subito nelle tragiche giornate della guerra.
Un ricordo? Tanti ricordi. La lunga attesa, poggiato alle vecchie pietre, degli amici ritardatari cronici per seguire “Riusciranno i nostri eroi” del nostro Scola. L’attesa dei coni al cioccolato de “Al mio bar” che la maschera, zio di mio cugino Lello, ci avrebbe portato mentre incantati guardavamo Clint Eastwood in “Per un pugno di dollari”. L’attesa, sul balcone di mia nonna in via Del Gaizo, del magico movimento del tetto che si apriva per far entrare la piacevole aria primaverile nella sala cinematografica. Tante attese nel passato, oggi una sola, che la Dogana rinasca, che ritorni ad essere il centro di una città che tanti di noi hanno abbandonato, per necessità o per scelta, ma che, nostro malgrado, resta la nostra città e resterà sempre nel cuore.
Mario Spagnuolo