Quel dipinto-documento di Daniele De Feo
Ci sono
dipinti che costituiscono veri e propri documenti storici, perch
ci informano, anche senza volerlo, su luoghi storici caratteristici di una
citt e su pagine talvolta inedite di vita vissuta in unĠepoca particolare. EĠil caso del dipinto di Daniele De Feo intitolato Borgo di
S. Antonio Abate dal Ponte di Salerno (Coll. Priv. Masturzi-La Greca,
Avellino) di cui vengo qui ad occuparmi.
LĠautore,
pittore dellĠOttocento, dimorava ad Avellino in Via Ponte della Ferriera (sul
prolungamento che sfociava in prossimit dellĠattuale Via Generale Cascino),
dove nacque lĠ1 luglio 1851 e mor nel 1925.
Il dipinto
in questione fa parte della collezione dei dipinti della famiglia Masturzi-La Greca che io fotografai alla fine del Novecento
e pubblicai a corredo del profilo critico dellĠautore nel mio libro Pittori
Irpini dell'Ottocento, Ed. Sellino, 2001.
Il quadro che si dispiega in forma rettangolare
allungata, risveglia in me profondi ricordi personali.
Ricordo
che la mamma della Signora Ada Masturzi in La Greca (quest'ultima
gentilissima e distinta Signora d'altri tempi, bravissima maestra di scuola
elementare, dotata di profonda cultura non meno del marito, il famoso ed amato
prof. La Greca, fine intenditore di musica ed animatore ineguagliabile di iniziative
culturali ad Avellino) mor durante il terremoto dell''80 sotto le macerie
della sua abitazione in Via Generale Cascino (al di qua del Ponte della
Ferriera). Ricordo che nel trambusto generale di quei tristi giorni, il caro e
mai sufficientemente compianto prof. Giovanni Pionati,
allora sindaco di Avellino in carica (che ha legato, nel bellissimo e ben
documentato libro Avellino, memorie ed immagini, 1988, Fratelli Palomba
editori, Roma, pagine di autentico lirismo alla descrizione di Via S. Antonio
Abate), mi rifer che erano stati rinvenuti sotto le macerie dellĠ abitazione
della Signora Masturzi crollata a Via Generale Cascino alcuni
dipinti di Daniele De Feo che egli aveva provveduto a mettere in salvo e che
avrebbe voluto farmi vedere per avere conferma che l'autore fosse proprio
Daniele De Feo. Non ebbi modo, per la verit, di vedere quei dipinti, preso
dallo stato di confusione generale e da altre occupazioni e preoccupazioni in
quei giorni di paura. Ho motivo di presumere, comunque, che il dipinto che
ritrae il Borgo di S. Antonio Abate sia molto probabilmente proprio uno di quei
dipinti che erano sotto quelle macerie. Solo qualche anno prima della
pubblicazione del libro (1999-2000) vidi di persona, fotografai e pubblicai il
dipinto, insieme agli altri dipinti - dei quali alcuni di propriet del caro
prof. Federico Biondi-, per nell'abitazione della famiglia Masturzi-La
Greca sita in Via Matteotti (Av.). Ricordo che sorprendentemente
mi impression subito ci che esalta e qualifica questo grazioso dipinto che
ritrae Borgo di S. Antonio Abate dal Ponte di Salerno: cio lĠincredibile immediatezza
con cui lĠautore aveva saputo percepire e fare sua, pur in un remoto centro di
provincia come Avellino, la tecnica che era stata propria dei Macchiaioli
toscani negli anni 1855 -870 e che fu ripresa subito dopo dagli impressionisti
francesi. Ed ancora mi par di risentire in quel Borgo di S. Antonio Abate dal
Ponte di Salerno lĠeco del linguaggio macchiaiolico
che si ripercuote nelle pennellate a rapidi e piccoli tocchi evocatori
dĠatmosfere, nel consapevole disdegno della resa dei minimi particolari, nella
preoccupazione di rendere, invece, solo lĠimpressione visiva corrispondente
allĠimpressione emotiva. EĠ davvero sorprendente come il dipinto di Daniele De
Feo. Il cacciatore, possa
assomigliare tanto strettamente al dipinto di un pittore macchiaiolo toscano che qui riportato a corredo
dellĠarticolo: la stessa immensa stesura di un campo giallo bruciato dal sole,
le stessa figura sperduta
nellĠimmensit dello spazio, sulla stessa macchia di verde sullo sfondo; e,
soprattutto, la stessa tecnica compendiosa dei colori materici.
Ho
motivo di ritenere che De Feo avesse appreso quella tecnica macchiaiolica
in Irpinia dal maestro Michele
Lenzi, lĠunico altro pittore irpino dellĠOttocento che pratic prima di lui la
stessa tecnica, attinta per, dal
pittore bagnolese, direttamente dai pittori toscani che egli contatt e talora
invit al Lago Laceno per
partecipare alla grande ÒFesta della MontagnaÓ che ogni anno egli
organizzava, in qualit di sindaco, nella sua nativa Bagnoli. Degno seguace di
De Feo stato, a mio avviso, lĠindimenticabile pittore Guido Palumbo, che,
come ricorda il prof. Pionati, Òha eternato nelle sue
tele e nelle sue tempere scene e scorci di vita in Via San Leonardo e in Via S.
Antonio Abate con struggente e presaga malinconia di poetaÓ.
Daniele
De Feo, come Michele Lenzi, fu molto radicato nel tessuto sociale di
appartenenza, cos come lo furono i Macchiaioli toscani (che letteralmente
combatterono al fianco di Giuseppe Garibaldi in nome del Risorgimento e
dei suoi ideali). Come le opere dei Macchiaioli forniscono commenti su vari
temi socio-politici, tra cui lĠemancipazione ebraica, le prigioni e gli
ospedali, e le condizioni delle donne, inclusa la condizione delle vedove di
guerra e la vita dietro le quinte, cos i quadri di De Feo documentano la
realt sociale, economica ed umana del capoluogo irpino a partire dalla seconda
met dellĠOttocento. Cos scrissi, infatti, in merito allĠopera Borgo SantĠAntonio Abate dal Ponte di
Salerno: Òil dipinto Borgo S. Antonio Abate dal Ponte di Salerno evoca una
poetica atmosfera nellĠora pomeridiana
di una calda giornata primaverile, fermata nelle ombre misteriose delle case
sullo stradone e nelle luci che si riflettono sul goffo abbigliamento delle
figure. Che il dipinto fosse stato eseguito ÒnellĠora pomeridiana di una calda giornataÓ , e, ci che pi
conta, dal vero, in un contatto diretto del pittore con lĠangolo di S. Antonio
Abate ritratto, cosa certa ed addirittura dimostrabile. Infatti, se si
confronta la visione fermata nel dipinto con quella fermata nella foto scattata
la mattina del 9 novembre 2020
(Fig. 2), si constata che nel dipinto le ombre, in stridente contrasto
con la luce, vanno nella direzione opposta a quella che nella foto predetta
assumono le ombre, sempre in stridente contrasto con le luci. Con squisito e
poetico gusto narrativo e aneddotico, il pittore ritrae seduti sugli usci delle
case gruppi di ÒcomariÓ intente a chiacchierare, come era nellĠuso
dellĠepoca. UnĠannotazione di
sapore veristico e di naturale curiosit data invece da quella frotta di Ògarzoncelli
scherzosiÓ che anima lĠambiente, appollaiata contro il muretto di contenimento
delle acque del fiume, sulla destra. Essa offre il richiamo alle quattro
galline che beccano e si beccano in primo piano, anchĠesse raggruppate sullo
sfondo in cui appare, lontano, il vecchio palazzo Amendola. In questĠopera che
ritrae uno degli angoli pi suggestivi della sua citt, in un momento di pace e
di quiete ritrovato sullĠuscio delle vecchie case, dai caratteristici portali
in pietra, in rapporto di contrappunto con le ombre e le luci sul denso
fogliame e sulle simpatiche figurine distribuite sullo stradone assolato, Daniele De Feo, attento osservatore
della realt naturale e sociale, degli usi e dei costumi, si riconferma ÒpoetaÓ, capace di rendere
consapevoli annotazioni psicologicheÓ (R. Sica, Pittori Irpini dellĠOttocento,
Ed. Sellino, 2001, pagg. 45 e 46). Il dipinto rivela
la sua efficacia documentaria anche per la rappresentazione del ponte antistante la Villa Amendola, dal
momento che tale ponte, che stato
individuato da Armando Montefusco nel Ponte Capuano (altrimenti detto ÒPonte di
San TommasoÓ), rappresenta Òun momento importantissimo sia per la vita del
suburbio cittadino (destinato allĠemarginazione) che per lo ÒsconvolgimentoÓ
urbano di alcuni tratti della cittÓ (A. Montefusco, Facebook 2 novembre 2020 ore 17, 27). Il ponte ripreso dai colori di Daniele De
Feo fu sostituito tra il 1960-70 dalla ditta SCAC (la
scritta SCAC ancora leggibile, incisa, su un punto della superficie esterna
del ponte attuale) con un nuovo ponte in cemento armato (costruito con travi prefabbricate precompresse tipo
TAS 65/30D) che visibile nella foto menzionata (Fig. 3 )
Valgano
in proposito le osservazioni offerte da Montefusco attraverso le tavole
pubblicate (A. Montefusco, Facebook
2 novembre 2020 ore 17, 27), che Ò ci danno unĠidea della sequenza di
trasformazioni di un lato del ÒViale del MiglioÓ ovvero del ÒCorso Vittorio
EmanueleÓ dallĠattuale Palazzo Sarchiola a via
Matteotti (difronte la PrefetturaÓ, coinvolgendo direttamente (nello spazio
ricavato dallĠabbattimento prima di una parte e poi di tutto il complesso
dellĠOspedale dei Fatebenefratelli e della Chiesa annessa di S. Carlo Borromeo)
lĠattuale Via Generale Cascino che al termine del prolungamento del tratto
del Ponte detto dei Due Principati
o Ponte della Ferriera o Ponte di Salerno) dovuto a Luigi Oberty
(1818 ed oltre).CosĠ testualmente Montefusco: ÒLa sequenza inizia nel 1765 e
prosegue nel 1817, quando, con la soppressione degli ordini monastici, fu
abbattuta la chiesa di S. Carlo Borromeo, dellĠOspedale di S. Giovanni di Dio
(Fatebenefratelli), per la costruzione del Teatro Provinciale. Nel 1819 fu la
volta dellĠabbattimento di parte dellĠantico Ospedale per creare lo sbocco
della via dei Due Principati. Poco dopo furono abbattute anche le ultime tracce
dellĠOspedale, dando al Teatro una pi elegante visuale. Questa condizione si
protrasse fino agli inizi del Ô900 quando fu abbattuto lĠormai pericolante
Teatro e sostituito dallĠattuale Palazzo SarchiolaÓ
(Ibidem). Con maggiore precisione lo storico Franco Barra ci ricorda come Oberty Òfece passare una nuova strada sul vallone di Acquavicola e lungo il taglio del margine del costone
tufaceo del pianoro di contrada Chairia, per poi
valicare il Fenestrelle con il ponte della FerrieraÓ. Egli osserva inoltre che
Òquesta scelta costitu una svolta epocale nella storia urbanistica, e non
solo, della citt. LĠabbandono del tracciato medioevale nel fondovalle
Fenestrelle per S. Leonardo e S. Antonio Abate determin infatti il netto
spostamento dellĠasse urbano verso piazza Libert e il Corso, destinati a
divenire sempre pi il nuovo cuore della citt moderna Il Ponte della Ferriera,
costruito tra il 1818 e 1820, port lĠarteria a sfociare sul largo dei Tribunali, la futura piazza Libert,
dopo un ulteriore sbancamento che cre il tratto iniziale di Via Due
PrincipatiÓ ( F. Barra, Villa Amendola e
la Via dei due Principati in Ò Il Quotidiano del SudÓ, 8 novembre 2010,
pag.14). Il dipinto fu eseguito, a mio giudizio, probabilmente tra il 1875 e il
1925 (data di morte del pittore). Nel 1851 nasceva Daniele De Feo e tra il 1851
e il 1875 sorgeva e si sviluppava il Macchiaiolismo
in Toscana. Considerando che la tecnica adoperata dal De Feo nel dipinto presuppone che egli avesse gi
conosciuto ed assimilato profondamente la pittura dei Macchiaioli toscani, e
mettendo le date 1855 e 1875 citate in relazione con le date di esecuzione
delle opere urbanistiche di Luigi Oberty ad Avellino,
in particolare in Via Due Principati comprendente i due ben noti Ponti, e
gli edifici e le costruzioni che appaiono nel dipinto (in particolare la
Villa Amendola che sĠintravede nel
quadro), si pu ipotizzare con un buon margine di probabilit che il dipinto in
questione sia stato realizzato non prima del 1875.
Riccardo Sica
Fig. 1 Daniele
De Feo , Borgo S. Antonio Abate, Coll.
Priv. Masturzi-La Greca,
Avellino
Fig. 2 Lo stesso scorcio (dipinto nella seconda met
dellĠOttocento da De Feo) come oggi, 9 novembre 2020 ore 12, in una foto scattata e gentilmente
concessaci dallĠarch. Antonio Palumbo.
Che il dipinto fosse stato realizzato in un pomeriggio si desume dalle ombre che vanno nella
direzione opposta a quella che assumono le ombre nella foto eseguita la mattina del 9 novembre 2020.
Fig. 3 denominazione
della ditta ( SCAC) appaltatrice del nuovo Ponte nel 1960-70