I ruderi di palazzo Sanchez De Luna e il giardino delle camelie

                                                                                                              

di Pasquale Matarazzo

A ridosso di “cupa muti” un antico giardino e antiche strutture ci riportano all’archetipo di un mondo rurale e feudale. La storia riemerge e qualifica un luogo, oramai abbandonato all’incuria e al deposito indiscriminato di rifiuti di ogni genere: da salvare e per  connotare il recupero di tutta l’area  detta un tempo: abbascio a porta.

 

Lungo via Francesco Tedesco, all’altezza della chiesa di San Generoso, sul lato opposto, si dirama una stradina conosciuta con il toponimo di Cupa Muti che prende origine, probabilmente, così come rilevato dalla utilissima pubblicazione “Le strade di Avellino” di Andrea Massaro e Armando Montefusco, da un nucleo familiare affetto da mutismo, che abitava nelle sue pertinenze.

Lontani ricordi mi riportano l’immagine di un corpo di case di cui due, quelle all’ingresso della cupa, congiunte da una loggia a balconata (loggiato) che fungeva sia da motivo ornamentale che da disimpegno di due parti dell’edificio.

Nel banco di tufo che  sovrasta i ruderi, quelli che sembrano antichi cunicoli, ma che potrebbero essere vecchie cantine per conservare masserizie e poi ricovero antiaereo durante la seconda guerra mondiale e ai lati della cupa, sul lato sinistro, una base in pietra sormontata da un arco a sesto acuto, provano l’antichità del borgo, ma più avanti gli occhi avranno maggiore giustizia.

I ruderi degli edifici sono probabilmente ciò che resta della villa che appartenne alla nobile famiglia, di origini spagnole, Sanchez De Luna D’Aragona, tesorieri del Regno di Napoli.

Un membro della famiglia, Teresa Sanchez De Luna sposò nel 1810 Don Ambrogio Caracciolo Rossi, Principe di Avellino e Torchiarolo.

Secondo una mia ricostruzione, avvalorata dall’antico tracciato della via Campanina, nei pressi della cupa dovrebbe passare l’antica via romana, in asse, infatti, si trova la Collina della Terra dove, a seguito dell’evento sismico dell’80 e il crollo del Seminario Vescovile, fu portato alla luce un pezzo dell’antico tracciato della strada Augustea.

La cronaca, grazie all’intervento ecologico di Carmine Losco, il lupo di Telenostra, ci ha presentato un luogo oramai invaso da ogni genere di rifiuti ed erbacce, ma questo non ha limitato la sete di storia e la voglia di trasmetterne la conoscenza soprattutto per salvare ciò che resta di un pezzo della nostra memoria.

Sul lato destro della cupa si dirama un antico sentiero, costituito da ampi gradoni in pietra locale, con selciatura in acciottolato, che conducono a un giardino, il cui ingresso presenta una struttura a elementi spagnoleggianti con movimenti morbidi e rotondi.

Davanti a me si apre un mondo arcano, un ambiente in cui natura e storia si fondono creando un paesaggio bucolico paragonabile, ripensando al “genius loci” del luogo, a un dipinto di Bruegel il Vecchio, in un’armonica composizione di colori, dove i confini si toccano, le immagini, presenze inconsce e primordiali, sono ancora oggi presenti nella nostra memoria profonda; ed è proprio il risveglio di questi archetipi a chiudere il cerchio di questa intesa.

Una magnifica camelia colpisce la mia attenzione e attesta l’antichità del luogo.

Lo splendido esemplare ha probabilmente più di due secoli, in quanto tali piante furono portate in Europa nel 1739, per diffondersi in tutti i castelli e giardini della nobiltà europea,da un capitano della Compagnia delle Indie e poi in Italia nel 1786.

Tutto attorno, alla splendida rosa giapponese: così chiamata in Oriente, è un fiorire di propaggini che fanno del luogo un habitat, di pregio, da preservare.

Continuando lungo il sentiero, nel muro di cinta del giardino, alcune sedute in pietra lavica, antenate delle moderne panchine, connotano l’antica architettura del luogo e fiori multicolori si affacciano dai muri creando cromatismi mozzafiato.

Continuo ad avventurarmi in quel miscuglio di stratificazioni di territorio e architettura, di campagna coltivata e antichi vitigni, di cui una anziana contadina, custode del luogo, mi racconta di un’ uva da tavola dolcissima che ha radici antiche.

Pochi passi dal giardino e una casa rurale attrae la mi attenzione.

Quella che sembra di primo acchito una  architettura rurale presenta nella parte laterale una loggia in tufo archivoltato con cellaio sottostante, dal quale si intravede il soffitto con volta a crociera.

Da informazioni attinte sembra che fin all’inizio del secolo riportasse sul timpano una croce quindi, probabilmente, era la chiesetta rurale della tenuta.

Le sorprese non erano finite.

Nell’ispezionare l’area prospiciente, in un’aia ricavata a ridosso del manufatto, al di sotto dello spiazzo antistante la casa rurale evidenziavo alcune strutture murarie in tufo grigio che, probabilmente, erano la base di un’antica torre di avvistamento di epoca Aragonese.

Da informazioni assunte la proprietà del fondo è ascrivibile al Ricovero Rubilli e, pertanto, rivestendo un alto valore storico, il comune di Avellino potrebbe attivarsi per l’acquisto e la riqualificazione che aggiungerebbe un altro pezzo alla tanto frammentata storia della nostra città.

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