Penisola per la Dogana
Ringraziamo Franco Festa per l´invito a partecipare a questo momento di condivisione di pensieri. Un momento di riflessione politica, per quello che la politica dovrebbe essere. Come dice Foucault, infatti, occuparsi di se stessi e svolgere un’attività politica sono azioni tra loro connesse.
Parlare della dogana ora, significa quindi pensare a come abitiamo la nostra cittá. Proprio cosí: questo palazzo per noi non è solo un insieme di calce e mattoni, ma qualcosa di piú.
Cosí come la nostra cittá non è solo un curioso insieme di strade e palazzi, frutto del lavoro di ingegneri e manovali. Per questo motivo Italo Calvino, nelle Cittá invisibili, puó dirci:
« Anche le città credono d'essere opera della mente o del caso, ma né l'una né l'altro bastano a tener su le loro mura. D'una città non godi le sette o settantasette meraviglie, ma la risposta che dà a una tua domanda. »
La dogana, perció, non è solo un vecchio cinema abbandonato, ma piuttosto è uno specchio, sporcato dalla nostra inconsapevole voglia di dimenticare il passato, e dalla pigrizia di chi abita senza fare domande.
La dogana è oggi un triste simbolo di quanto poco si rifletta su qualcosa che continuamente facciamo mentre siamo indaffarati a far mille altre cose: abitare.
Cosa significa abitare? Innanzitutto costruire. E costruire, significa collaborare con la terra, imprimere il segno dell’uomo su un paesaggio che ne resterà modificato per sempre; contribuire inoltre a quella lenta trasformazione che è la vita stessa delle città. Attraverso l’edificare, dice l’imperatore Adriano in Memorie di Adriano della Yourcenaur, si può reificare, rendere, in altre parole, osservabili significati immateriali, quali il segno dell’uomo, la sua essenza. Nel caso di Adriano, demiurgo e architetto, le città divengono le pagine del libro della sua vita.
Abitare perció significa anche narrare memorie e custodire ricordi, sconfiggendo il trascorrere incurante del tempo, questa dimensione inselvaticante, capace di sotterrare ogni cosa, mentre il costruire manifesta dunque uno stretto legame col pensare: una cittá, i suoi palazzi, sono in realtá una ostensione del nostro modi di pensare.
In un breve saggio datato 1951, Costruire Abitare Pensare, Heidegger affronta proprio questi temi: Esser uomo significa: essere sulla terra come mortale; e cioè: abitare. Ciò che, a prima vista, si porrebbe come un aspetto utilitaristico-edonistico del vivere, l’abitare, mostra, qualcosa in piú. Abitare, per gli esseri umani, non è nulla di meno che la possibilità di esprimere la propria essenza.
Attraverso l’abitare, dunque, ci si prende cura di sé, si pone mente ad ogni gesto e ad ogni conseguenza che ne discende. Ma ciò che rende il costruire un modo proprio dell’essenza umana è la capacità di riunire persone e terra affinché si crei un luogo, una distesa di senso, creando spazi prima inavvertiti.
In una cittá, palazzi come la dogana, sono quindi importati non solo per quello che sono, ma anche per quello che riescono a dirci, a ricordarci, a trasmetterci. Perché la loro forza è nella rete di legami invisibili che li tiene uniti tra loro e a noi.