Sesina

 

Era una delle prostitute più note della città. Non era conosciuta per la qualità delle prestazioni d'amore mercenario,ma sicuramente per come si muoveva,per quello che diceva ai passanti,a volte intonando un ritornello,per lo stato fisico ormai ridotto dall'alcool ad un'esile figura. La caratteristica principale risiedeva nella sua ostinazione ad esercitare il "mestiere",nonostante l'abbrutimento della sua immagine,causato in massima parte dall'esercizio della professione. Forse la sua storia era simile a tante altre. La storia di una puttana diventata tale per sopravvivere con minori difficoltà alla miseria economica del sottoproletariato d'anteguerra. La solita storia dell'adolescente avvenente cresciuta nei bassi del centro storico, sottoposta alla violenza del rapporto incestuoso o alla tentazione del facile guadagno mercificando quanto la natura le aveva donato. Allora era molto più semplice avviarsi sulla strada della prostituzione. Esistevano le case di tolleranza che garantivano numerosi "posti di lavoro" e allo stesso tempo consentivano di visitare altre città. Infatti le venditrici d'amore erano obbligate a trasferirsi ogni quindici giorni (le famose quindicine) da un postribolo all'altro per fornire alla "clientela" molte varietà di "forme". Con l'arrivo degli Alleati il casino entrò in alcune case. Nacque una spietata concorrenza esercitata da una fetta della popolazione, che per ottenere un po'  di vettovaglie americane o realizzare improbabili matrimoni coi militari statunitensi di stanza in Avellino non esitava ad offrire l'unico bene rimasto dopo tre anni di miserie:il proprio corpo. Sesina visse quel periodo con la psicologia dell'operaio licenziato dal posto di lavoro. Per attirare i clienti dovette faticare non poco, e questo,probabilmente, le fece perdere prematuramente l'avvenenza giovanile. Intorno alla metà degli anni sessanta, ormai schiava dell'alcool, si trascinava per vie della città in cerca di inesistenti clienti. Era diventata  un personaggio quasi comico, con cui era piacevole fermarsi ed ascoltare pezzi della sua vita, le sue voglie matte, la sua ridicola presunzione di essere ancora piacente. Molto spesso, con un piccolo compenso, cantava il suo personale inno d'amore e di adescamento, che recitava pressappoco così:"Comme chiagnene 'e recottari che 'a ricotta non s'è fa' cchiù; ma che cazzo 'e  uommini siti,'na sciammereca nun v'a faciti.....".Certamente non era melodia per i benpensanti, ma durante le notti d'estate di quegli anni il tempo trascorreva senza annoiarsi,semplicemente ascoltando i racconti e il canto di una vecchia meretrice.

 

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