Su una foto di Ugo Santinelli: il Monumento dimenticato

di Franco Festa

con una nota di Anna Maria Lepore

 

C’era un altro monumento ai caduti, in un altro punto della città. In alto si ergeva un gruppo bronzeo che rappresentava “l’eroe caduto in guerra cui la Gloria cinge la testa di lauro”, al centro della vecchia Piazza Libertà. Faceva un certo effetto, agli avellinesi degli anni 30.

Di più ai bambini, che passavano le ore a giocarci intorno, ad arrampicarsi sul basamento in travertino, superando il cancelletto. Qualcuno, più incosciente, si spingeva fino in alto, a guardare negli occhi il guerriero disteso, a sfiorare il braccio teso della Gloria. Tempi di retorica profusa a piene mani nella vita scolastica si appagavano tra le pieghe delle vesti della dea, si rispecchiavano  nei riccioli del giovane agonizzante. Il bambino tornava a terra con il cuore colmo di cipiglio guerriero. Neppure notava come la Piazza cambiava, come la chiesa di san Francesco, che fino ad allora aveva fatto da proscenio al monumento,  e che era lì dal 1222, arricchita e resa viva dalla fitta struttura artigianale intorno a lei, veniva abbattuta dal “piccone rigeneratore”.

 

C’ è sempre stato un piccone nella storia del Novecento della città, che ha cancellato memoria, tracce di storia, percorsi sentimentali, dignità di vita.  Il gruppo di bronzo del monumento fu fuso nel 1941, per costruire armi alla patria. Intanto i ragazzi che giocavano lì intorno  erano stati mandati a morire in Russia, in Africa, in Grecia. Quelli che tornarono il monumento in Piazza non  lo trovarono più. Fu ricostruito a via Matteotti, più sobrio, del vecchio fu recuperata solo una parte del basamento. Da allora è rimasto lì, a margine. Gli avellinesi lo notano a stento, nella furia monotona della vita quotidiana. Per qualche tempo, fino a quando la caserma di Avellino ha svolto le funzioni di addestramento delle reclute, in alcuni giorni consacrati la strada e il monumento hanno rimbombato ancora di squilli e di gloria. Le truppe di soldati, ragazzi appena giunti da tutta Italia, sperduti nelle larghe uniformi di panno di tre taglie più grandi, sfilavano per il Corso, si disponevano in parata per tutta via Matteotti, nel silenzio della folla variopinta che si accalcava sui marciapiedi,  per assistere all’evento. Erano i bersaglieri con le penne al vento che emozionavano di più i ragazzini, che di guerra sapevano poco, se non quello che avevano raccontato loro i padri o i nonni, ed erano racconti di sventura, di fame, di disfatta,  di solitudine, di voglia di tornare a casa. C’erano ancora maestri tutti di un pezzo  che narravano di glorie roboanti, di Piave che mormorava, di stranieri che non passavano, ma i più avevano cominciato a raccontare la verità del mondo e di una Costituzione che ripudiava la guerra. Le piume dei trombettieri bersaglieri, però, creavano una sospensione dell’anima per bambini e adulti, ed era un gioco felice la rappresentazione che si consumava nella strada e che finiva, nel generale commosso silenzio, con la cerimonia del deposito delle corone di alloro. Poi le truppe tornavano in caserma, la strada riprendeva il suo ritmo consueto, le giovani reclute cercavano invano di integrarsi nella vita scostante della piccola città e il monumento ricadeva in un silenzio appartato. Quando i pullman della Sita, negli anni 50, partivano da lì intorno, i tre guerrieri bloccati nel marmo  si sentivano in qualche modo meno soli, perché vivevano degli sguardi, sia pure distratti, dei viaggiatori, contadini, operai, artigiani, studenti che arrivavano in città e subito fuggivano via, lasciando tracce del proprio passaggio anche dietro il glorioso monumento. Poi intorno è cambiato tutto. Per lunghi anni la clinica “Aufiero”, al lato, è rimasta chiusa, imbalsamata in un silenzio odoroso di canfora e di ammoniaca. Oggi un’ altra palazzina ne ha cancellato ogni traccia. Così per l’informe palazzo retrostante, così per tutte le stradine intorno, così per Corso Europa, svilito e deturpato nella sua armonia borghese. Solo l’edificio delle Poste ha conservato il suo aspetto e continuato a svolgere il suo ruolo, sia pure in mesto subappalto con altri uffici. Per il monumento, ormai, solo cerimonie veloci, autorità comunali e provinciali sull’attenti in silenzi pieni di sbadigli, generali con poche truppe in tuta mimetica, scolaresche svagate in visita guidata. Oggi i soldati seminudi, stretti nel bassorilievo, sollevano il pugnale e  guardano altrove, le ultime corone di allora resistono nella loro  simmetria al freddo e al gelo, un mazzo di crisantemi e una rosa, depositate fuori il cancelletto, lentamente sfioriscono . I cittadini, bloccati nei loro affari, passano dritto: solo rari sguardi fuggenti e sfuggenti da quella parte,  prima di perdersi in sensi unici, di smarrirsi per strade sbarrate, di catapultarsi nella guerra di ogni giorno, per la quale nessuno, questa volta, costruirà un monumento.

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